1976, Laura Di Nola – Un’esperienza del Fuori! romano

Laura Di Nola, 1976. «Un’esperienza del FUORI! romano», Lambda (Mensile d’informazione dentro il Movimento di Liberazione Sessuale), anno 1, n. 1 (novembre), p. 6.

 

Laura Di Nola – Foto di Massimo Consoli

3 Dicembre

Secondo Massimo Consoli (vedi http://www.fondazionemassimoconsoli.com/calendar/3dec.htm), nacque a Roma il 3 dicembre 1932 e vi morì il 7 luglio 1979. Psicologa, fu implicata nel processo Moro (ucciso il 9 maggio 1978) come partecipante alle riunioni dell’autonomia ma anche come possibile agente segreto del Mossad: “se il Sismi avesse comunicato gli effettivi risultati delle sue investigazioni all’Autorità giudiziaria, che già disponeva di analoghe informazioni, si sarebbero potute valutare diversamente le posizioni di Bruno Sermoneta, di Anna Bonaiuto e, soprattutto, di Laura Di Nola, coniugata con Raffaele De Cosa, morta di cancro nel 1979, il cui appartamento di via Sant’Elena n. 8 era probabilmente una base logistica delle Brigate Rosse: la disponibilità di quest’appartamento da parte della Di Nola e ch’esso fosse frequentato dalla Bonaiuto emergeva dall’appunto Sismi 9 dicembre 1978, nel quale si faceva altresì riferimento a «tale Sermoneta amico di una brigatista residente in via S. Elena, n. 8 (…)» e proprietario di una Jaguar le cui chiavi vennero trovate nel covo di via Gradoli; nonché a Antonio Franchini, Osvaldo e Settimio Cecconi, secondo la fonte, «corrispondenti di Trevignano» dei coniugi De Cosa e Di Nola..” [https://www.nottecriminale.news/2021/03/02/laffaire-moro-collante-tra-cutolo-e-la-banda-della-magliana-quando-lo-stato-chiese-alla-criminalita-qualcosa-che-non-voleva-seconda-parte]. Pubblicò un’antologia di poesie scritte da donne e curò diverse raccolte di saggi.


 

Il Fuori donna si è costituito da poco, probabilmente perchè la donna è sempre stata più repressa dell’uomo nel suo privato e quindi anche nel suo privato “lesbico”.

In questo senso esse hanno il problema dell’accettarsi e del farsi accettare, vissuto in maniera assai più paralizzante di quello maschile.

La raccolta di poesie lesbiche – della quale ho parlato sul n. 16 di Fuori! – ne ha dato una dimostrazione, mostrando una resistenza a scoprirsi anche da parte delle persone più politicizzate; un altro motivo è legato alla minor autosufficienza della donna, più esposta alla difficoltà di una libera scelta.

Comunque l’esperienza di questo libro, dandoci motivo di riflessione, ha convinto alcune donne omosessuali a venire a radio radicale, nello spazio del Fuori, per un’esperienza che almeno a livello femminile, ci sembra rivoluzionaria: l’autocoscienza per radio, cioè fatta davanti al più eterogeneo pubblico di ascoltatori, e allo scoperto.

Ci è sembrata necessaria questa rottura, fondamentale fare un salto qualitativo e riuscire a parlare non più nel recinto di un ghetto formato da persone “particolari”, coi discorsi che risultavano “muti” per quel che riguardava l’esterno.

Esporre il proprio privato e il proprio privato “diverso”, non considerare certi argomenti tabù ma “normalizzarli”, portandoli alla luce del sole.

Le trasmissioni di autocoscienza sono iniziate a Luglio, all’inizio sono venute donne che avevano avuto rapporti omosessuali, adesso sono cominciate ad arrivare donne che si professano “etero”.

A mio avviso esse possono avere il valore che hanno in psicologia i cosiddetti “gruppi di confronto”, ma è ovvio che dovrebbero rimanere almeno come minoranza, altrimenti si rischia di diventare un qualdsiasi gruppo di autocoscienza femminile.

E’ chiaro che le nostre difficoltà sono – almeno a prima vista – maggiori di quelle in cui si dibatte ogni gruppo di autocoscienza e possono far pensare al nostro lavoro quasi come a una scommessa che mandiamo avanti per testardaggine.

Agli inizi forse è stato così, ma superato il primo impatto ci siamo accorte che esiste un incentivo, maggiore che nei gruppi che agiscono al chiuso, ed è proprio quello di uscire allo scoperto, considerando non solo il dialogo che possiamo avere con ascoltatrici isolate (e comunque abbastanza coraggiose), ma anche il fatto che la nostra lotta di liberazione sessuale è lotta di tutti e uno dei suoi momenti, l’autocoscienza, deve esser reso pubblico.

Già nei primi incontri (l’ha confermato più tardi l’entrata delle donne cosiddette etero), sono emersi problemi comuni ad ogni donna, anche non omosessuale: la lesbica può avere una maniera più autonoma e cosciente di superarli e di viverli, ma le radici sono nell’oppressione della società, non certo nell’omosessualità, che gli psicologi del sistema considerano responsabile di ogni turbamento.

Il rischio insito in una trasmissione radiofonica mi sembra sia quello di sfuggire a una presa di coscienza del nostro privato a vantaggio di una eccessiva teorizzazione che nasca da moduli prefissati che vengano fuori a difesa delle nostre inibizioni: mi sembra però che questo pericolo si vada superando brillantemente.

Le composizioni al nostro interno sono diverse: c’è Alba Mori, insieme ad altre compagne del Fuori, alcune provengono dall’MLD, altre dal Movimento femminista romano. Ci sono delle differenze a livello politico fra di noi, ma anche queste penso possano essere utili come motivo di confronto.

Alcune critiche ci sono venute da parte dei compagni maschi del Fuori: “Perchè fate l’autocoscienza da sole, anch’io mi sento donna”, oppure: “Perchè rinchiudervi in un ghetto” erano le frasi con le quali ci redarguivano più spesso.

Prendo l’occasione per ribadire i motivi che hanno spinto le compagne ad accettare questo momento di lavoro autonomo che ho proposo: il primo consiste senz’altro nel fatto che il sentirsi donna di un maschio è almeno politicamente diverso dal nostro essere donna. Se in parte è un giusto tentativo (e anche noi lo stiamo compiendo) di accettarsi nella propria totalità al di fuori dal ruolo, in parte consiste nella tentazione di entrare quasi con piacere in quel ruolo “iperfemminile” (e quindi non totalizzante ma parziale) imposto dal sistema, che oggi le donne e le femminsite in particolar modo tentano di rompere, in quanto di “sospetta autenticità”.

L’oppressione probabilmente è diversa, lo stesso ruolo il sistema lo impone alle donne, e lo proibisce agli omosessuali maschi, quindi so bene che il fatto può essere per loro rivoluzionario, ma nei termini sempre di una classificazione.

Molti nostri problemi sono chiaramente in comune, ma in parte sono anche molto diversi e io chiedo ai compagni: come possiamo fare una vera autocoscienza senza isolare questi problemi diversi?

Noi donne ad esempio non possiamo dare se non in maniera intellettualistica ed esterna un contributo al problema del travestitismo, che fra noi è meno diffuso. I nostri silenzi durante la discussione di questi problemi lo testimoniano. Nella stessa maniera gli uomini non possono dare un contributo sul vissuto di particolari esperienze, dovute soprattutto alla nostra condizione di donne, in una società in cui l’uomo – seppure oppresso come omosessuale – è già diversamente trattato.

Con ciò non si vuol fare assolutamente dichiarazione d’autonomia, semmai portare avanti un tentativo di maggior approfondimento che forse ha bisogno di una fase di differenziazione per una maggiore riflessione interna.

Ciò non toglie che possano esserci contemporaneamente gruppi di autocoscienza misti o gruppi separati che periodicamente si incontrino per un confronto.

Sarebbe interessante a questo proposito sentire le esperienze di altri gruppi, scambiarci le opinioni, aprire un dibattito, in mancanza di altri incontri, sulle colonne di questo giornale.

Laura Di Nola


 

 

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