0110, Giovenale – Satira VI

Decimo Giunio Giovenale, 110. Satire (Saturae). Libro II. Sesta satira.

Nato a Castrocielo, tra il 50 e il 60, Giovenale muore a Roma dopo il 127.  Poeta e retore romano, a composizione o la pubblicazione delle sue Satire è da collocarsi fra il 100 e poco dopo il 127 d.C. (un’allusione al consolato di Lucio Emilio Iunco (cos. 127) compare nella quindicesima satira, la penultima).

La Satira VI contiene la celeberrima critica alle matrone romane. Per correggere la pazzia di un amico che vorrebbe sposarsi, nonostante Roma offra innumerevoli modi di suicidarsi, Giovenale descrive a quali abissi di corruzione le donne siano ormai giunte, sedotte dagli esempi della malsana letteratura greca e dal desiderio di apparire sofisticate; del resto come si può restare pudiche quando ai tempi di Claudio, la corruzione lordava lo stesso letto imperiale? Ma la disapprovazione si estende a tutte le donne che non rispettino il modello ideale della matrona dei tempi della repubblica, quindi anche alle donne troppo colte o desiderose di avere un ruolo nella società. [da wikipedia]

Ma anche nella Satira II fa un accenno al sesso tra donne che, al contrario di quello tra uomini, non esisterebbe:
citari ante omnis debet Scantinia […]
… sed illos     45
defendit numerus iunctaeque umbone phalanges.
magna inter molles concordia. non erit ullum
exemplum in nostro tam detestabile sexu.
Tedia non lambit Cluuiam nec Flora Catullam


Tre diversi topoi del discorso sul lesbismo (la figura della tribade che strofina la clitoride; Saffo e l’amore tra donne; il sesso orale lesbico) sarebbero stati riunificati solo dopo il 1470 e ciò risulterebbe evidente dai commenti alle opere di Marziale e Giovenale di quel periodo. Vedi Marc Schachter, 2017. “Alcuni anelli mancanti del discorso lesbico: i primi commenti a stampa sopra Giovenale”, in Umberto Grassi et al. (a cura di), Tribadi, sodomiti, invertite e invertiti, pederasti, femminelle, ermafroditi. Pisa: Edizioni ETS, 2017, pp. 29-40. Dello stesso autore vedi anche “Lesbian Philology in Early Print Commentaries on Juvenal and Martial” in Jennifer Ingleheart (a cura di), Ancient Rome and the Construction of Modern Homosexual Identities, Oxford: Oxford University Press, 2015

Di questi brani manca una traduzione decente, vuoi farla tu?
… quid enim Venus ebria curat?     300
inguinis et capitis quae sint discrimina nescit […]  301i nunc et dubita qua sorbeat aera sanna     306
Tullia quid dicat, notae collactea Maurae.     307
Maura Pudicitiae ueterem cum praeterit aram,     308
noctibus hic ponunt lecticas, micturiunt hic     309
effigiemque deae longis siphonibus implent
inque uices equitant ac Luna teste mouentur,
inde domos abeunt: tu calcas luce reuersa
coniugis urinam magnos uisurus amicos. Nota Bonae secreta Deae, cum tibia lumbos     314
incitat et cornu pariter uinoque feruntur     315
attonitae crinemque rotant ululantque Priapi
maenades. O quantus tunc illis mentibus ardor
concubitus, quae uox saltante libidine, quantus
ille meri ueteris per crura madentia torrens! 
A Venere ubriaca cosa interessa?
non distingue quali siano l’inguine e la testa.Chiediti perchè sogghigna quando Tullia fiuta l’aria;
cosa dica la malfamata Maura all’altra Maura, sua sorella di latte, quando passa accanto all’antico altare
della Pudicizia: la notte fermano lì le loro lettighe e, prese dal bisogno di orinare, inondano la statua della dea con getti interminabili, poi si cavalcano a turno, agitandosi con a testimone la luna; infine tornano a casa, e tu, recandoti la mattina dopo a visitare i tuoi grandi amici, calpesti il piscio di tua moglie. Noti sono i misteri della dea Bona: il flauto eccita le reni e le mènadi di Priapo, esaltate dal vino e dal suono del corno, scompigliano al vento i capelli e lanciano ululati. Brama d’accoppiarsi le ottenebra la mente; che grida nei loro fremiti lascivi,
che torrente di vino infradicia le loro gambe.