1764, Cesare Beccaria – Delitti di prova difficile

Cesare Beccaria, 1764. Dei delitti e delle pene, Cap. XXXI: Delitti di prova difficile.

Sembra che il Beccaria con: “greca libidine” e “attica venere” intenda solo l’omosessualità maschile. L’intero testo è reperibile allo http://www.letteraturaitaliana.net/pdf/Volume_7/t157.pdf

Cap. XXXI

Delitti di prova difficile

 […]

Vi sono alcuni delitti che sono nel medesimo tempo frequenti nella società e difficili a provarsi, e in questi la difficoltà della prova tien luogo della probabilità dell’innocenza, ed il danno dell’impunità essendo tanto meno valutabile quanto la frequenza di questi delitti dipende da principii diversi dal pericolo dell’impunità, il tempo dell’esame e il tempo della prescrizione devono diminuirsi egualmente. E pure gli adulterii, la greca libidine, che sono delitti di difficile prova, sono quelli che secondo i principii ricevuti ammettono le tiranniche presunzioni, le quasi-prove, le semi-prove (quasi che un uomo potesse essere semi-innocente o semi-reo, cioè semi-punibile e semi-assolvibile), dove la tortura esercita il crudele suo impero nella persona dell’accusato, nei testimoni, e persino in tutta la famiglia di un infelice, come con iniqua freddezza insegnano alcuni dottori che si danno ai giudici per norma e per legge.

[…]

L’attica venere cosí severamente punita dalle leggi e cosí facilmente sottoposta ai tormenti vincitori dell’innocenza, ha meno il suo fondamento su i bisogni dell’uomo isolato e libero che sulle passioni dell’uomo sociabile e schiavo. Essa prende la sua forza non tanto dalla sazietà dei piaceri, quanto da quella educazione che comincia per render gli uomini inutili a se stessi per fargli utili ad altri, in quelle case dove si condensa l’ardente gioventù, dove essendovi un argine insormontabile ad ogni altro commercio, tutto il vigore della natura che si sviluppa si consuma inutilmente per l’umanità, anzi ne anticipa la vecchiaia.

[…]

Io non pretendo diminuire il giusto orrore che meritano questi delitti; ma, indicandone le sorgenti, mi credo in diritto di cavarne una conseguenza generale, cioè che non si può chiamare precisamente giusta (il che vuol dire necessaria) una pena di un delitto, finché la legge non ha adoperato il miglior mezzo possibile nelle date circostanze d’una nazione per prevenirlo.