Émile Zola, 1880. Nanà. Paris: G. Charpentier
E’ il nono dei venti romanzi del ciclo de I Rougon–Macquart. Fu pubblicato in italiano lo stesso anno da G. Pavia & Co., Milano, tradotto dai prof. Petrocchi e Standaert. I passi qui riportati sono invece tratti dalla traduzione di Luisa Collodi per l’edizione integrale di Nanà della Newton Compton, Roma, 2008.
Nanà è una prostituta che si fa mantenere da molteplici amanti e che morirà sfigurata dal vaiolo in una camera d’albergo; Satin, sua collega, morirà in ospedale, debilitata dalle eccessive richieste di Madame Robert.
[…] Finalmente, la convinse ad andare a mangiare da Laure. Era una trattoria modestissima, in rue des Martyrs, dove la cena costava tre franchi. […] Le tre sale erano ancora vuote. Si sedettero a un tavolo, nella sala dove Laure Piédefer troneggiava alla cassa, arrampicata su un alto sgabello. Laure era una donna di cinquant’anni, dalle forme traboccanti, fasciata da uno strettissimo busto. Le clienti arrivavano una dopo l’altra, si protendevano al disopra della cassa, e baciavano Laure sulla bocca, con tenera familiarità, mentre quel colosso, con gli occhi umidi, cercava, dividendo i suoi favori tra tutte, di non suscitare gelosie. […] Dapprima Nanà aveva temuto d’incontrare le amiche di un tempo, che le avrebbero fatto domande imbarazzanti, ma si tranquillizzò, non scorgendo nessuna faccia conosciuta in mezzo a quella folla così eterogenea, in cui abiti scoloriti e cappelli malridotti stavano accanto a toilette elegantissime, nella fratellanza della stessa perversione. Per un momento, fu colpita da un giovane con i capelli corti e ricci, il volto insolente, che teneva in suo potere, sospesa ai suoi minimi capricci, una tavolata di donne, che scoppiavano di grassezza. Ma, quando il giovane si mise a ridere, il petto gli si gonfiò. «Guarda, è una donna!», si lasciò sfuggire Nanà con un piccolo grido. Satin, che si stava rimpinzando di pollo, alzò la testa, mormorando: «Ah, sì, la conosco. È magnifica. Se la disputano tutte».
Nanà fece una smorfia di disgusto. Non capiva ancora quelle cose. Tuttavia diceva, con voce ragionevole, che di gusti e di colori non bisogna discutere, perché non si sa mai cosa ci potrà piacere un giorno. Così mangiava la sua crema con aria filosofica, rendendosi perfettamente conto che Satin metteva in rivoluzione le tavole attigue, con i grandi occhi azzurri di vergine. C’era soprattutto, vicino a lei, una donna bionda e robusta, gentilissima: fiammeggiava e si faceva avanti a tal punto che Nanà stava per intervenire. Ma una persona che entrava proprio in quel momento le causò una profonda sorpresa. Aveva riconosciuto Madame Robert, la quale, col grazioso visetto da topolino bruno, fece un confidenziale cenno di testa alla domestica alta e magra, poi andò ad appoggiarsi alla cassa di Laure. Si baciarono a lungo. Nanà trovò quella affettuosità molto strana, da parte di una donna così distinta, tanto più che Madame Robert non aveva affatto la sua solita aria riservata, al contrario, gettava occhiate in giro per la sala, parlando a voce bassa. Laure si era seduta di nuovo, maestosa come un vecchio idolo del vizio, con la faccia consunta e lucidata dai baci dei fedeli, e, al disopra dei piatti colmi, regnava sulla sua traboccante clientela di grassone, mostruosa anche a paragone delle più voluminose, trionfante della sua ricchezza di proprietaria, che la ricompensava di quarant’anni di esercizio. […]
Erano donne elegantissime, coperte di diamanti. Venivano per divertimento da Laure, alla quale tutte davano del tu. Prese da un gusto perverso, portavano a spasso centomila franchi di pietre preziose per cenare là, a tre franchi a testa, suscitando l’ammirazione gelosa delle povere ragazze con gli abiti gualciti e inzaccherati. Quando erano entrate, parlando ad alta voce, ridendo forte, portando da fuori quasi uno splendore di sole, Nanà aveva rapidamente voltato la testa, seccatissima di riconoscere tra loro Lucy Stewart e Maria Blond. Per quasi cinque minuti, il tempo che le nuove arrivate avevano passato parlando con Laure, prima di andare nell’altra sala, stette a testa bassa, fingendo di essere occupatissima a fare palline di mollica di pane sulla tovaglia. Quando infine poté voltarsi, restò stupefatta: la sedia vicina alla sua era vuota, Satin era scomparsa. «Ma dove diavolo è andata?», si lasciò sfuggire ad alta voce. La donna bionda e robusta, che aveva colmato di attenzioni Satin, scoppiò a ridere, nonostante fosse rimasta male anche lei; e poiché Nanà, irritata da quel riso, le rivolse uno sguardo minaccioso, disse mollemente, con voce strascicata: «Non sono mica stata io, è stata quell’altra, a portarvela via». […] Quello che esasperava Nanà era dover pagare la cena di Satin. Che razza di sgualdrina! Si faceva sfamare, e poi si dileguava con l’ultima arrivata, senza neppure dire grazie! Certo, si trattava soltanto di tre franchi, ma non aveva voglia di pagarli: era stata una cosa troppo scorretta. Pagò, comunque, gettando i sei franchi a Laure, che in quel momento disprezzava più del fango dei rigagnoli.
[…] Ritornò anche da Laure, mangiando là, quando Fontan cenava fuori, e si divertiva alle storie, agli amori e alle gelosie che appassionavano le clienti, senza però che smettessero di ingozzarsi. Tuttavia, non era delle loro, come diceva. La grossa Laure, con tenerezza materna, la invitava spesso a passare qualche giorno nella sua villa di Asnières, una villa di campagna, dove c’era posto per sette amiche. Lei rifiutava, aveva paura. […] Poi, una bella sera, le cose si fecero serie. Nanà, che da Laure aveva fatto tanto la schizzinosa, ora capiva. Ne fu sconvolta, furiosa, tanto più che la mattina del quarto giorno Satin scomparve. […] Le era venuto in mente che forse avrebbe trovato Satin al ristorantino di rue des Martyrs. Non la cercava per rivederla, ma per prenderla a schiaffi. Satin, infatti, stava cenando a una piccola tavola, insieme a Madame Robert. […] Alla fine, fu Nanà ad averla vinta, a forza di tenerezze e di regali; e, per vendicarsi, Madame Robert scrisse ignobili lettere anonime agli amanti della sua rivale. [..]
[…] Gli uomini erano in frac, lei portava un abito di raso bianco ricamato, mentre Satin, vestita più modestamente, di seta nera, aveva soltanto un cuore d’oro al collo, dono della sua amata. Dietro ai convitati, Julien e François servivano a tavola, aiutati da Zoé, tutti e tre molto dignitosi. […] Satin, che aveva sbucciato una pera, era andata a mangiarla dietro la sua amata, appoggiandosi alle sue spalle, sussurrandole all’orecchio paroline di cui ridevano a gola spiegata. Poi volle dividere con lei l’ultimo pezzetto di pera, e glielo offrì tra i denti, e tutte e due si mordicchiavano le labbra, finendo il frutto in un bacio.