Otto Weininger, 1912. Sesso e carattere. Traduzione dal tedesco di Giulio Fenoglio. Torino: Fratelli Bocca, pp. 391.
E’ la traduzione di Geschlecht und Charakter, pubblicato per la prima volta nel 1903; l’autore si suicidò a soli 23 anni.
Gli estratti seguenti sono tratti da: Otto Weininger, 1922. Sesso e carattere. Inroduzione e traduzione di Giulio Fenoglio. Seconda edizione riveduta. Torino: Fratelli Bocca, 1922, pp. 331, reperibile allo https://archive.org/details/weininger-sesso-carattere/
Prima parte (Introduttiva)
Cap. IV. Omosessualità e pederastia 39-45
Cap. VI. Le donne emancipate 57-68
[p. 39]
Capitolo IV. Omosessualità e Pederastia
Nella legge or ora discussa dell’attrazione sessuale è contenuta a un tempo anche la teoria da tanto tempo cercata della perversione sessuale, cioè della propensione sessuale per il proprio sesso (o almeno non esclusivamente per l’altro). Astraendo da una distinzione che si farà più tardi, si può affermare arditamente che ognuno che sia sessualmente perverso dimostra anche caratteri anatomici dell’altro sesso. Non esiste un « ermafroditismo psico-sessuale » puro; uomini che si sentono sessualmente attratti da altri uomini sono femminili anche nel loro abito esterno, come quelle donne che provano desideri sessuali verso altre donne mostrano nel loro corpo dei caratteri maschili. Quest’idea è evidente dal punto di vista di un severo parallelismo tra il fisico e il psichico; ma il modo in cui essa s’avvera richiede si ponga attenzione al fatto accennato nel secondo capitolo, secondo cui non tutte le parti dello stesso organismo hanno la stessa posizione tra U e D. ma organi differenti possono essere diversamente maschili o femminili. In chi è sessualmente perverso non manca dunque mai un avvicinamento anatomico all’altro sesso.
Basterebbe già questo per confutare l’opinione di coloro che considerano la perversione sessuale come una qualità acquisita dall’individuo nel corso della vita, la quale si sovrapponga all’istinto normale. Credono a una tale acquisizione mercé influenze esterne dei valenti studiosi quali Schrenck-Notzing, Krapelin, Fére; e riguardano come moventi l’astinenza dal rapporto normale e specialmente la seduzione. Ma come si spiega allora il fatto del primo seduttore? Forse che lo istruì il dio Ermafrodito? Quest’opinione mi fece sempre l’impressione che si volesse rappresentare come acquistata artificialmente la propensione normale dell’uomo tipico verso la donna tipica e si volesse affermare perfino che questa trovava il [p. 40] proprio fondamento negli insegnamenti dei predecessori, che una volta abbiano per caso scoperto quanto sia piacevole il rapporto sessuale e come l’individuo normale viene a comprendere da sé «ciò che sia una donna», anche nel perverso l’attrazione sessuale che esercitano su di lui persone dello stesso sesso si palesa naturalmente nel corso dello sviluppo individuale con la cooperazione di quei processi ontogenetici, che l’accompagnano dalla nascita in poi per tutta la sua vita.
Naturalmente sara necessario che un’occasione gli si presenti, la quale permetta al desiderio di imprendere atti omosessuali, di esprimersi; ma questa non può che rendere attuale ciò che in maggior o minor grado si nascondeva già da lungo tempo nell’individuo, aspettando puramente l’occasione per liberarsi dai vincoli. Ciò che i sostenitori della teoria dell’acquisizione dovrebbero dire, è che nel caso dell’astinenza da atti sessuali (non voglio passare sotto silenzio il secondo presunto motivo da cui deriverebbe la perversione sessuale) si può fare ancora altra cosa oltre la masturbazione: che invece se si desiderano e si compiono atti omosessuali ciò deve attribuirsi a disposizione naturale. Si potrebbe dire «acquisita» anche l’attrazione eterosessuale, quando si trovasse necessario constatare, per esempio, che l’uomo eterosessuale deve aver visto una volta una donna o almeno una figura di donna per innamorarsi. Ma chi sostiene che la perversione sessuale è acquisita somiglia a uno che a ciò esclusivamente rivolgesse tutta la sua attenzione, escludendo tutte le predisposizioni dell’individuo, per le quali soltanto un dato avvenimento può condurre a un determinato effetto, e facendo assurgere a unico fattore di tutto il risultato un fatto in sé secondario della vita esterna, un’ultima condizione complementare, una causa parziale. Come l’istinto sessuale perverso non è acquisito, non è neppure ereditato dai genitori o nonni. Ciò non fu neppure mai sostenuto – chè l’esperienza lo confuterebbe al primo momento – ma si tentò farlo dipendere dalla condizione d’una costituzione assolutamente nevropatica, da una generale predisposizione ereditaria, che si manifesti nei discendenti appunto anche nella perversione degli istinti sessuali. Si giudicò tutto il fenomeno come psico-patologico, lo si considerò come un sintomo di degenerazione e come malati si ebbero coloro che ne erano affetti.
Quantunque una tale idea abbia ora un numero di seguaci molto inferiore di prima, dopo che il suo sostenitore principale von Krafft-Ebing la lasciò cadere tacitamente nelle successive edizioni della sua Psychopathia sexualis, non è però fuori luogo l’osservazione che gli uomini sessualmente pervertiti possono essere totalmente sani nel resto e che, astraendo da momenti sociali accessori, si sentono bene come ogni altro individuo sano. Se domandate loro se desiderino di essere altrimenti a questo riguardo, rispondono spesso negativamente. Questi erronei tentativi [p. 41] di spiegare l’omosessualità si devono al fatto che la si isolò completamente invece di tentare di metterla in relazione con altri fenomeni. Chi considera le «inversioni sessuali» come qualche cosa di patologico o come anomalie psichiche di orribile mostruosità (questa è la credenza normale delle piccole menti), magari come un vizio acquisito, come il risultato di qualche diabolica seduzione, deve pur pensare che una serie infinita di trapassi conduce dal tipo più perfetto del maschio all’uomo femminile, da questo al sessualmente pervertito, all’ermafroditismo spurio e genuino, e più oltre alla tribade, da questa alla virago per finire alla virgo femminile. Secondo questa nostra opinione i pervertiti sessuali (d’ambo i sessi) si devono definire come individui in cui la frazione α s’aggira intomo a 0,5, e quindi non si scosta molto da α’ (cfr. pag. 8) facendo sì che essi abbiano press’a poco parti eguali del maschio e della femmina, anzi talvolta più della donna anche se vengono considerati come uomini o più dell’uomo benché si chiamino donne.
Non essendo la caratteristica sessuale egualmente ripartita su tutto il corpo, accade certo che troppo spesso degli individui vengano assegnati a un sesso puramente in base a un carattere sessuale primario, anche quando il descensus testiculorum avvenga più tardi o abbia luogo epi- od ipospadia, o posteriormente si mostri azoospermia, oppure se si rimarchi (nel sesso femminile) atresia vaginae, e si dia loro un’educazione maschile, prestino servizio militare, ecc. ecc., quantunque sia in loro α < 0’5 α’ > 0’5. Il complemento sessuale di tali individui si troverà dunque apparentemente al di qua della linea di demarcazione, sulla stessa metà sulla quale essi stessi sembrano stare, mentre in verità dovrebbero essere assegnati alla porzione opposta.
Del resto — e ciò viene in aiuto al mio principio, sebbene d’altro canto con quest’ultimo solamente si possa spiegare — non esiste una pura inversione sessuale. Tutti sono in principio bisessuali: è cioè loro possibile un rapporto sessuale tanto con uomini che con donne. Può però darsi che essi stessi più tardi promuovano attivamente il proprio sviluppo unilaterale verso un sesso, influiscano su sé stessi in direzione dell’unisessualità e facciano così preponderare in sé stessi o l’eterosessualità o l’omosessualità, oppure si lascino influenzare in tal senso da moventi esterni, benché con ciò non s’estingua la bisessualità, ma si dimostri di nuovo d’averla ricacciata soltanto temporaneamente.
Più volte, e negli ultimi tempi più spesso che per lo innanzi, s’è visto che in ogni embrione animale o vegetale v’ha una relazione tra i fenomeni omosessuali e le tendenze bisessuali. Quel che c’è di nuovo in quest’esposizione si è che l’omosessualità non viene considerata come un regresso ossia uno sviluppo incompleto, una mancante differenziazione del sesso [p. 42] come fu credulo negli studi precedenti ; qui l’omosessualità non è più una anomalia, che si presenti singolarmente come resto di un’antecedente mancanza di differenziazione e come tale si frammetta ancora fra la completa divisione dei sessi.
Qui l’omosessualità viene considerata quale la sessualità dei gradi intermedi, servente alla continuità di queste forme incidenti, le quali sole vengono considerate come reali, mentre gli estremi non sono addotti che come casi ideali. Allo stesso modo che noi consideriamo tutti gli esseri come eterosessuali, li consideriamo perciò tutti anche come omosessuali.
Al seconda che l’altro sesso resta più o meno allo stato rudimentale, ogni essere umano ha una certa disposizione, magari debolissima, all’omosessualità, e ciò si dimostra dal fatto che negli anni avanti la pubertà, in cui manca ancora relativamente la differenziazione e la secrezione interna delle glandole genitali non ha ancora deciso completamente il grado dell’espressione sessuale unilaterale, han luogo di regola quegli entusiasmi nelle amicizie di gioventù, che non mancano mai completamente di un carattere sensuale, sia che abbiano luogo tra maschi, che tra femmine.
È naturale che chi, oltrepassata quell’età, s’esalta ancora in maniera non ordinaria per amicizia tra individui appartenenti allo stesso sesso, ha in sé una buona parte dell’opposto. E un grado incidente ancor più avanzato segnano coloro che si sanno entusiasmare per la collegiabilità tra i due sessi, che possono trovarsi come tra camerati, senza dover stare in guardia contro i propri sentimenti, con l’altro sesso, che in verità è il loro, che ne diventano intimi e vogliono costringere anche altri a un tal rapporto «ideale puro», benché per questi ultimi sia più difficile restare puri.
Non esiste neppure amicizia tra uomini, che sia totalmente priva di qualunque elemento di sessualità, per quanto ciò non entri punto nel concetto dell’amicizia, anzi sia penoso al pensiero e contrario all’idea dell’amicizia. Per la giustezza del nostro asserto depone già il fatto che non si può addivenire a un’amicizia tra uomini quando l’esteriore non abbia fatto nascere tra essi alcuna simpatia, perché in tal caso non avverrà mai un avvicinamento tra loro. L’«esser beneviso», la protezione, il nepotismo tra uomini si riferiscono per buona parte a tali relazioni sessuali spesso incoscienti.
L’amicizia giovanile sessuale trova un parallelo forse in un altro fenomeno tra uomini più avanzati negli anni: quando per una trasformazione regressiva senile dei caratteri sessuali sviluppati nell’età adulta sorge di nuovo l’anfisessualità latente. Questa è forse la cagione per cui vengono condannati per delitti contro la moralità uomini al disopra dei cinquantanni.
Furono infine osservati atti omosessuali in buon numero anche tra le [p. 43] bestie. F. Karsch raccolse da varie parti della letteratura questi casi (non tutti) Pur troppo però gli osservatori non dicono mai nulla riguardo alla mascolinità o muliebrità delle bestie prese in considerazione. Pure è fuori di discussione che ciò dimostra la validità della nostra legge anche per il mondo animale. Tenendo dei tori rinchiusi a lungo in un sito senza dar loro una mucca, si possono col tempo osservare tra loro degli atti di pervertimento sessuale; gli uni, più femminili, ci cadono prima, altri più tardi, altri forse mai (1). Ciò dimostra che la disposizione esiste in loro, e che furon trattenuti dal solo fatto di aver potuto soddisfare prima meglio al proprio istinto. I tori tenuti prigioni non si comportano spesso altrimenti che gli uomini nelle carceri, negli alunnati, nei convitti. Nel fatto che le bestie non conoscono soltanto l’onanismo (che si trova tra loro come tra gli uomini), ma anche l’omosessualità, essendovi tra loro anche forme sessuali intermedie, vedo una delle conferme più salde della mia legge dell’attrazione sessuale.
In tal modo non si può più considerare la perversione sessuale come un eccezione alle leggi naturali, ma come un caso speciale delle stesse. Un individuo che sia per metà uomo e per metà donna ne domanda, secondo la legge, per il proprio completamento, un altro che abbia pure parti eguali di ambo i sessi. Questo è il motivo del fenomeno, che non si sapeva spiegare, che cioè i pervertiti praticano quasi esclusivamente tra loro, e che soltanto rarissime volte viene attirato nella loro cerchia chi non cerca il proprio soddisfacimento nello stesso modo — l’attrazione sessuale è reciproca: dal che deriva anche che qui si deve cercare quel potente fattore che fa riconoscersi tra loro immediatamente gli omosessuali. Così avviene anche che una persona normale non ha generalmente alcuna idea dell immensa estensione dell’omosessualità e che, udendo repentinamente di simili atti, qualunque libertino che senta normalmente, si crede in diritto di condannare «tali mostruosità». Un professore di psichiatria in una Università tedesca propose ancora nel 1900, sul serio, di castrare senza altro gli omosessuali.
II procedimento terapeutico con cui si tenta oggigiorno di combattere l’inversione sessuale (dove pur lo si tenta) è certo meno radicale di quel consiglio, ma dimostra in pratica l’assoluta insufficienza di qualunque teoria sulla natura dell’omosessualità. Oggi si cura — com’è naturale, specialmente dagli aderenti alla teoria dell’acquisizione — coll’ipnotismo: si cerca di insinuare per via suggestiva la nozione della donna e del coito «normale» attivo con la stessa e di abituare al medesimo. Bisogna però confessare che i risultati attenuti sono poco confortanti.
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(nota 1) Appunto per il bue si sono già accertate forme sessuali intermedie in buon numero.
[p. 44] Dal nostro punto di vista ciò è anche ovvio. L’ipnotizzatore delinea al paziente la figura tipica (!) della donna, mentre quest ultimo la detesta in tutta la propria natura intima, innata, inconscia, difficilmente tangibile per mezzo della suggestione. Che il suo complemento non è D, né il medico lo deve mandare da una qualunque ragazza che si adatti al piacer suo soltanto per denaro, per coronare convenientemente questa cura che in genere avrà aumentato ancor più l’orrore del paziente per il coito normale. Se noi domandiamo alla nostra formula il complemento del pervertito sessualmente, essa ci indicherà proprio la donna più maschile, la lesbica, la tribade. Di fatto essa è anche quasi l’unica donna che attiri il pervertito, l’unica che gli piaccia. Ammessa dunque la necessità d’una terapia della perversione sessuale, la nostra teoria propone di inviare il pervertito alla pervertita, l’omosessuale alla tribade.
Questo consiglio non può però aver altro senso che quello di rendere ad ambedue più facile che sia possibile l’osservanza delle leggi ancora vigenti (in Inghilterra, Germania, Austria) contro atti omosessuali, leggi tanto ridicole e alla cui cassazione queste righe vorrebbero contribuire. La seconda parte di questo lavoro renderà comprensibile perché la prostituzione attiva d’un uomo mediante un atto sessuale con lui compiuto, come pure la prestazione passiva d’un altro uomo, viene considerata come assai più infamante che non i rapporti sessuali tra un uomo e una donna. Eticamente non v’ha in sé e per sé alcuna differenza tra i due atti. Ad onta di tutte le ciarle oggi in voga sui diritti diversi per personalità diverse, non esiste che un’unica etica per ognuno che abbia faccia umana, allo stesso modo che non v’ha che una logica. È invece assolutamente da riprovarsi e inconciliabile coi principi del diritto penale, che non punisce il peccato ma solo il delitto, che si proibisca all’omosessuale il suo modo di rapporti sessuali, mentre si permettono i suoi all’eterosessuale, purché abbiano luogo ambedue evitando pubblico scandalo. Logico sarebbe unicamente e soltanto (qui astraggo completamente dal punto di vista puramente umanitario, né voglio accennare a un diritto penale che abbia altri scopi di pedagogia sociale che non quello dell’intimidazione) di lasciare che i pervertiti trovassero il loro soddisfacimento dove lo cercano, vale a dire tra di loro.
Questa teoria mi sembra inoppugnabile e completa, tale da permettere una spiegazione sufficiente di tutti i fenomeni. Ora è però necessario alla nostra esposizione di uscire con quei fatti, che certamente le saranno opposti e che sembrano anche veramente impedire la possibilità di giudicare questa perversione sessuale sotto le forme sessuali intermedie, e paiono pure voler invalidare d’un tratto tutta la legge. Mentre l’esposizione basta forse per le donne pervertite, vi sono indubbiamente degli uomini che hanno una caratteristica femminile debolissima e che pure vengono impressionati [p. 45] da persone del proprio sesso più fortemente che altri assai più femminili di loro, per i quali l’impressionamento può partire magari da un uomo maschile ed essere più forte di quello esercitato da una donna. Alberto Moll dice a ragione: «Esistono ermafroditi psicosessuali, che si sentono attratti da ambo i sessi, ma che in ogni sesso non amano che le qualità proprie dello stesso; come d’altro canto v’hanno ermafroditi psicosessuali (?) che non amano, nel singolo sesso le qualità tipiche dello stesso, per i quali anzi esse sono indifferenti e magari ripugnanti». Su questa divisione si basa la distinzione tra omosessualità e pederastia fatta nel titolo di questo capitolo.
Si possono addurre bastanti motivi per una tale bipartizione: omosessuale si dice quel tipo di pervertito che preferisce uomini molto teleidici e donne assai arrenoidi, secondo la legge citata, il pederasta invece può amare uomini molto maschili e ugualmente donne femminili, queste ultime in quanto non sia pederasta. Pure l’attrazione verso il sesso maschile sarà in lui più forte e più profonda che non quella verso quello femminile. La questione dei motivi della pederastia è problema a sé che non può far parte di questo studio.
Capitolo VI. Le donne emancipate.
In nesso immediato con l’applicazione psicologico-differenziale del principio delle forme sessuali intermedie è necessario toccare per la prima volta una questione, allo scioglimento pratico e teoretico della quale, questo libro è in ispecial modo dedicato. Teoreticamente essa non appartiene all’etnologia o all’economia politica, cioè alle scienze sociali nel senso più lato e praticamente non forma parte dei problemi giuridici o economici della politica sociale. Vogliamo accennare alla questione della donna. La risposta che questo capitolo darà non è però tale che con essa il problema venga definito senza bisogno d’ulteriore esame. Essa è al contrario provvisoria, non potendo dare più di quanto non si possa derivare dai principi finora ottenuti. Essa si basa completamente su comuni osservazioni individuali, nè vuole sollevarsi a principio di più profondo significato; le osservazioni pratiche ch’essa porge non sono massime morali destinate a regolare l’esperienza futura, ma regole tecniche tratte dall’esperienza passata per farne un uso dietetico-sociale. Il motivo di ciò è che non si vuol qui fissare un tipo maschile o femminile: questo compito appartiene alla seconda parte. Le presenti considerazioni provvisorie non hanno altro scopo che dimostrare quelle deduzioni di carattere dal principio delle forme intermedie, le quali sono importanti per il problema della donna.
L’esito di tale applicazione è abbastanza chiaro dopo quanto siamo andati dicendo finora. Arriveremo alla conclusione che il bisogno e la capacità d emancipazione d’una donna si basa puramente sulla parte di U da essa posseduta. Il concetto di emancipazione è però polisenso, ed è nell’interesse di tutti i fini pratici, che spesso si seguono a parole, ma che non permettono una cognizione teoretica, di aumentarne la oscurità. Per [p. 58] emancipazione d’una donna io non intendo né il fatto che in casa sua è lei che tiene le redini, mentre il marito non s’azzarda più a contraddirla, nè il coraggio di passare di notte per rioni poco sicuri senza essere accompagnata, nè la noncuranza di forme sociali convenzionali, le quali quasi proibiscono a una donna di vivere sola, di far visita a un uomo, di toccare argomenti sessuali o per di lei iniziativa o in sua presenza; ne infine la ricerca di un’occupazione indipendente, sia che si scelga come mezzo per arrivarvi la scuola di commercio, l’università, il conservatorio di musica o la scuola magistrale. Forse esistono anche altre cose ancora che si nascondono confusamente sotto il grande scudo del movimento femminista, di cui però non vogliamo per il momento parlare.
L’emancipazione, secondo me, non è neppure il desiderio di equiparazione esteriore all’uomo ma per il presente tentativo di arrivare a porre in chiaro la questione della donna il problema è dato dalla sua volontà di divenire interiormente eguale all’uomo, d’arrivare alla sua libertà spirituale e morale, di far suoi gli interessi di lui e la sua produttività. Quello che noi sosteniamo è che D non ha nè il bisogno nè conseguentemente la capacità, di emanciparsi. Tutte le donne che veramente tendono all’emancipazione, tutte quelle rinomate a buon diritto e in qualche modo spiritualmente eminenti, dimostrano sempre molti tratti maschili e un osservatore acuto può sempre riconoscere in loro anche caratteri anatomicamente maschili, un aspetto somatico più simile a quello dell’uomo.
Le donne del passato e del presente, i cui nomi vengono sempre addotti dai propugnatori maschili e femminili dell’emancipazione della donna per dimostrare di quanto sia capace la donna, appartengono esclusivamente alle forme sessuali intermedie più avanzate, quasi a quei gradi mediani che possono appena ancora numerarsi tra i femminili. Già la prima secondo l’ordine storico, Saffo, è sessualmente pervertita, anzi da lei deriva il termine per quei rapporti sessuali di donne tra di loro che si dice amore saffico o lesbico. Vediamo qui come ci possano essere utili le nozioni del terzo e quarto capitolo per decidere sulla questione della donna. I dati riguardanti caratteri che ci stanno a disposizione riguardo alle donne cosiddette celebri, dunque emancipate di fatto, sono troppo esigui, l’interpretazione è esposta a troppe contraddizioni per potercene servire nella speranza di dare una risposta soddisfacente. Noi mancavamo di un principio che ci permettesse di fissare fuori d’ogni dubbio la posizione d’un essere tra U e D.
Lo trovammo nel principio dell’attrazione sessuale tra l’uomo e la donna. La sua applicazione al problema dell’omosessualità dimostrò che la donna attirata sessualmente da un’altra è mezzo uomo. Con ciò abbiamo però anche quanto ci basta press’a poco per dimostrare nel singolo caso storico la tesi che il grado d’emancipazione d’una donna è identico con quello della sua mascolinità. Saffo non è che la prima della lista di quelle donne celebri che [p. 59] furono contemporaneamente omo- o bisessuali. I filosofi hanno fatto di tutto per togliere ogni sospetto che essa abbia avuto con altre donne delle vere relazioni amorose che andassero più oltre d’una pura amicizia, come se un tale rimprovero, anche giustificato, potesse rendere del tutto spregevole una donna. Che non sia così, ma che al contrario l’amore omosessuale faccia alla donna più onore d’una relazione eterosessuale verrà dimostrato nella seconda parte. Basti qui osservare che la propensione per l’amor lesbico in una donna dipende dalla sua mascolinità, e che questa è la condizione per la sua elevazione. Caterina II di Russia, la regina Cristina di Svezia, secondo una testimonianza anche Laura Bridgman, sordo-muta e cieca ad un tempo e certamente anche George Sand furono parte bisessuali, parte esclusivamente omosessuali, come lo sono tutte le donne e le ragazze di qualche genialità ch’io stesso ebbi occasione di conoscere.
Per quello poi che riguarda il gran numero delle donne emancipate, di cui non abbiamo alcuna prova di amore lesbico, possediamo invece generalmente a loro riguardo altri indizi che ci dimostrano non essere un’asserzione arbitraria, nè egoismo sordido che tutto reclami per il sesso maschile, se io parlo della mascolinità di tutte quelle donne che vengono solitamente citate ad esempio d’una capacità superiore della donna. Come le donne bisessuali hanno dei rapporti sessuali o con donne maschili o con uomini femminili, così anche le donne eterosessuali dimostreranno sempre il loro contenuto di mascolinità nel fatto che il loro complemento sessuale nella linea maschile non sarà mai un uomo genuino.
Le relazioni più note, tra le molte, di George Sand sono quella con Musset, il lirico più femminile che la storia conosca, con Chopin, che potrebbe perfino venir detto l’unico musicista femminile, tanta era la sua muliebrità (1). Vittoria Colonna è meno celebre per le sue opere poetiche che per la stima in cui la tenne Michelangelo, che non ebbe relazioni erotiche che con uomini. La scrittrice Daniele Stern era l’amante di quel Liszt la cui vita e opere hanno sempre in sè qualche cosa di femminile, la cui amicizia per Wagner, il quale non era neppure completamente maschile e certo un po’ pederasta, conteneva altrettanto di omosessualità, quanto l’entusiastica ammirazione che a quest’ultimo prodigava Luigi II di Baviera. M.me de Stael, la cui opera sulla Germania deve considerarsi forse come la più importante che derivi da mano femminile, è probabile che abbia avuto rapporti sessuali col maestro di casa dei suoi figli, un omosessuale, e con Augusto Guglielmo Schlegel. Il marito di Clara Schumann lo si
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(nota 1) L0 dimostra chiaramente anche il suo ritratto. MÉRIMÉ dice di George Sand: «maîgre comme un clou». Nel loro primo incontro l’uomo fu lei, lui la donna: egli arrossisce quando lei lo fissa, cominciando a fargli dei complimenti con voce profonda.
[p. 60] potrebbe ritenere una donna al solo osservarne i ritratti in certi periodi della sua vita, senza badare alla femminilità della sua musica. Dove mancano tutti i dati sugli individui con cui le donne celebri ebbero rapporti sessuali, oppure non sono neppure nominate tali persone, possiamo spesso trovare abbondante ricompensa per questa mancanza nelle brevi notizie pervenute fino a noi sul loro aspetto esteriore. Queste dimostrano come la mascolinità si manifestasse anche fisionomicamente nel loro viso e nella statura, confermando così, assieme ai ritratti conservatici, la giustezza delle nostre osservazioni. Si parla della fronte vasta e potente di George Elliott: “i suoi movimenti come i suoi gesti erano risoluti e decisi, mancavano però della leggiadra morbidezza femminile”. Altrettanto si dice del “viso duro e intelligente, che fa una strana impressione” di Lavinia Fontana. Il biografo della poetessa più originale, Annetta von Droste-Hülshoff, ci narra della sua “figura slanciata e graziosa di silfide”; eppure il viso di questa artista ha una severa espressione maschile, che rammenta lontanamente Dante. La scrittrice e matematica Sonia Kowalewska aveva, al pari di Saffo, una capigliatura scarsissima ancora più povera di quella delle poetesse e studentesse d’oggidì, le quali quando si venga a parlare della prestanza spirituale della donna, s’appellano in primo luogo a quella. E chi sostenesse di riscontrare nel viso della pittrice più rinomata, Rosa Bonheur, un sol tratto femminile si lascerebbe certo indurre in errore dal nome. Anche l’aspetto della celebre Elena Petrowna Blavatsky è del tutto maschile. Non ho citato volutamente alcuna delle donne rinomate ed emancipate ancora viventi, benché esse, oltre avermi spinto ad esporre alcune mie idee, mi abbiano anche generalmente confermato che D non ha nulla a che fare coll’emancipazione della donna. Le ricerche storiche devon dar ragione al detto popolare, che le ha di lungo precedute nel loro risultato: «Più lunghi i capelli, tanto più corto il cervello». Ciò combina perfettamente, salvo la restrizione fatta nel secondo capitolo.
Per quel che riguarda le donne emancipate: è l’uomo che in loro vuole emanciparsi.
Il motivo per cui le donne scrittrici prendono spesso dei nomi maschili è più profondo di quello che generalmente si crede: esse si sentono appunto quasi uomini, e in persone come George Sand ciò è perfettamente conforme alla loro predilezione per vestiti e occupazioni maschili. Il motivo che spinge alla scelta di un pseudonimo maschile deve esser posto nel sentimento che soltanto questo corrisponda alla propria natura; ciò non deve attribuirsi esclusivamente al desiderio di maggior considerazione e riconoscimento da parte del pubblico. Le produzioni femminili hanno sempre, ceteris paribus, [p. 61] attratto maggiormente l’attenzione in causa dell’interesse sessuale congiuntovi – ed essendo le pretese fin da principio minori, tali lavori furon sempre trattati con maggior indulgenza e lodati molto se erano buoni. Ciò avviene specialmente oggidì, dove noi vediamo continuamente delle donne ricevere allori per opere che non sarebbero neppure prese in considerazione se dovessero i propri natali a un uomo. È tempo che facciamo una cernita e che eliminiamo. Si prendano come termine di paragone le creazioni dell’uomo che continuano ad avere valore anche nella storia della letteratura, della filosofia, della scienza, delle arti e si vedrà di colpo ridursi considerevolmente il numero del resto non trascurabile delle donne che si considerano ancor sempre come spiriti superiori.
Bisogna infatti esser di manica molto larga per attribuire anche solo un po’ d’ importanza a donne come Angelica Kauffmann, M.me Lebrun, Feman Caballero, Hroswitha Don Gandersheim, Mary Someroille, George Egerton, Elisabetta Barrett-Browning, Sofia Germain, Anna Maria Schurmann, Sibylla Merian. Non voglio poi dire come sia avvenuto che anche in tempi più remoti si esagerò molto con le virago (p. e. la Droste-Hulshoff) ; non voglio neppure criticare la quantità di gloria raccolta dalle artiste viventi. Basti aver accertato in via generale che nessuna tra tutte le donne (neppure tra le più maschili) che hanno parte nella storia della civiltà può concorrere veramente in concreto coi geni maschili, neppure con quelli di quinto o sesto ordine, quali, per citare un esempio, Rückert tra i poeti, van Dyck tra i pittori, Schleier-macher tra i filosofi.
Se escludiamo per ora le visionarie isteriche come le Sibille, le Pizie di Delfo, la Bourignon e la Klettenberg, Jeanne de la Mothe-Guyon, Giovanna Southcott, Beata Sturmin e Santa Teresa (1), non ci restano che casi come quello di Maria Bashkirtseff. Essa fu (per quanto posso rammentare il suo ritratto) certamente di conformazione somatica apertamente femminile, tranne la fronte, che mi fece un’impressione un po’ maschile. Ma chi nella Salle des Étrangers nel Lussemburgo di Parigi ha visto i suoi quadri accanto a quelli del suo amante Bastien-Lepage, sa che ella non si è appropriata lo stile di lui altrimenti che Ottilia la calligrafia di Edoardo nelle Affinità Elettive di Goethe.
Restano ancora quei numerosi casi in cui un talento proprio di tutta una famiglia si presenta più espresso che negli altri in una ragazza, senza che questa abbia perciò ad essere menomamente geniale. Ereditario è il solo talento, non il genio. Margherita Van Eyck e Sabina Don Steinbach non sono
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(nota 1) L’isterismo ò una delle cause principali della tendenza a fini più alti di molte donne celebri. Però il suo concetto comune limitato ai soli eccessi patologici del corpo è troppo ristretto : di ciò tenteremo parlare nella seconda parte (capitolo XII).
[p. 62] qui che il paradigma di una lunga fila di quelle artiste, di cui Ernesto Guhl, un autore assai favorevole alle donne artiste, ci dice espressamente che «esse furon avviate all’arte dal padre, dalla madre o dal fratello», in altre parole che esse trovarono già nella propria famiglia lo stimolo alla professione artistica. Se ne ricordano due o trecento; ma quante altre centinaia non si saranno date all’arte per influenze consimili, senza che la storia le possa registrare! Per comprendere l’importanza di queste cifre bisogna considerare che Guhl parla poco prima del «migliaio circa di nomi a noi noti d’artiste femminili».
Tronchiamo con ciò la rivista storica delle donne emancipate. Essa ha dato ragione all’asserzione che il bisogno d’emancipazione e la vera capacità di emanciparsi premettono l’esistenza della mascolinità nella donna. Chè di emanciparsi premettono l’esistenza della mascolinità nella donna. Chè il numero stragrande di quelle donne che non vissero né per l’arte, né per la scienza, ma per le quali tale occupazione subentrò in luogo del solito lavoro d’ago e non fu che un passatempo nell’idillio ininterrotto della loro vita – e tutte quelle per le quali un’occupazione filosofica o artistica non rappresenta che un estremo di civetteria di fronte a individui più o meno determinati appartenenti al sesso maschile – questi due grandi gruppi non si potevano né si dovevano prendere da noi in considerazione, volendo condurre un ragionamento stringato. I restanti si manifestano tutti, a chi li consideri da vicino, come forme sessuali intermedie.
Ma se il bisogno di libertà e equiparazione non si mostra che nelle donne maschili, sarà giustificato dire per induzione che D non sente alcuna necessità di emanciparsi, anche se tale deduzione fu da noi tratta momentaneamente solo da singole considerazioni storiche e non dall’esame delle qualità psichiche di D.
Partendo dunque dal punto di vista igienico (non etico), più compatibile con le naturali disposizioni, la nostra sentenza riguardo all’emancipazione della donna sarebbe la seguente. Il controsenso delle tendenze emancipatrici sta nel movimento, nell’agitazione. Sedotte da questa, volendo astrarre da motivi di vanità e di caccia all’uomo e data la somma disposizione imitativa delle donne, cominciano a studiare e scrivere anche quelle che originariamente non vi si sentivano punto attratte; poiché sembra infatti esistere un buon numero di donne che chiedono l’emancipazione per un vero bisogno interno, s’induce da queste sulle altre la tendenza ad educarsi; lo studio delle donne diventa moda e un’agitazione ridicola delle donne tra loro fa che infine tutti credano nella genuinità di ciò che spesso non è che un mezzo di dimostrazione usato dalla moglie contro il marito o una dimostrazione ostentata della figlia contro il potere materno. Senza che la regola seguente possa nè debba venir innalzata a termine di legge (e ciò già per il suo carattere instabile) una soluzione pratica di tutta la questione potrebbe essere [p. 63] la seguente: libero adito a tutto, nessun impedimento contro quelle che, secondo i propri bisogni psichici e in conformità alla loro costituzione somatica, si sentono tratte al lavoro maschile, cioè contro le donne con tratti maschili. Abbasso però i partiti, via la falsa rivoluzione, si metta fine a tutto il movimento femminista, che dà luogo a tanti tentativi contro natura, artificiosi, in fondo mendaci.
E abbasso anche la scipita frase della “eguaglianza completa”! Anche la femmina più maschile non ha quasi mai più di 50% di U e deve soltanto a tale “finezza” tutta la propria importanza o meglio l’importanza che potrebbe avere. Non è assolutamente permesso di tirare delle conseguenze generali da qualche esperienza particolare contro gli uomini, che sembrano voler fare non poche donne intellettuali; tanto meno in quanto quest’esperienze da esse raccolte non sono di carattere tipico, come già osservammo, benché ne risulti non solo la parità ma perfino la superiorità del sesso femminile. Al contrario, come già lo propose Darwin, è necessario confrontare le celebrità dell’uno e dell’altro campo. Ma “se si compilasse una lista doppia, degli uomini e delle donne più eccellenti nella poesia, pittura, scultura musica, storia, scienze naturali e filosofia e per ogni materia si citasse
una dozzina di nomi, le due liste non compatirebbero un confronto reciproco”. Se si consideri per di più che le persone della lista femminile, considerate più da vicino, non farebbero di nuovo che dimostrare la mascolinità del genio, è certo che le apostolesse dell emancipazione avrebbero in
futuro ancor minor voglia di subire tal prova di quanto l’ebbero finora.
II solito rimprovero che si sente fare è che la storia nulla può dimostrare, dovendo il movimento farsi appena ora strada per arrivare allo sviluppo spirituale completo e libero della donna.
Ma quest’eccezione disconosce che l’emancipazione delle donne — o una questione relativa — la si ebbe in tutti i tempi, benché diversamente vivace nelle epoche diverse. Si esagerano troppo le difficoltà che si fecero da parte dell’uomo in qualunque tempo e che si dicono fatte tuttora alle
donne aspiranti all’educazione spirituale(1). Si trascura infine il fatto che perfino al giorno d’oggi non è la vera donna che domandi l’emancipazione, ma generalmente donne maschili, che male interpretano la loro stessa natura né riconoscono i motivi del loro agire quando credono di parlare in nome della donna.
Come ogni altro movimento storico, anche quello femminista era convinto di essere in primo luogo nuovo, mai esistito; le sue propugnatrici
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(nota 1) Esistettero del resto dei grandi artisti completamente ignoranti (Buens, Wolfram, von Eschenbach) ma mai un’artisa paragonabile a loro
[p. 64] insegnavano che la donna aveva fin allora languito nelle tenebre, incatenata, mentre appena ora cominciava a comprendere e a pretendere il suo diritto naturale. Ma come per ogni altro movimento storico, cosi si poterono anche per questo scoprire nel passato sempre maggiori analogie. La questione femminista sussistette nell’antichità e nell’evo medio, non solo sotto il punto
di vista sociale, ma anche in favore dell emancipazione spirituale, per la quale si affaticarono in esposizioni teoretiche donne produttive mercè i loro stessi lavori, e apologisti femminili di ambo i sessi. È dunque assolutamente falsa la credenza, che diede tanto entusiasmo e freschezza alla lotta delle femministe, la credenza cioè che fino agli anni a noi più prossimi le donne non avessero mai avuto occasione di sviluppare indisturbate le loro eventuali capacità psichiche. Giacomo Burckhardt racconta del Rinascimento: «Il maggior onore che si potesse tributare allora alle italiane celebri consisteva nel riconoscer loro spirito e animo maschili. Basta prendere in considerazione il portamento assolutamente maschile delle donne nei canti eroici, specialmente nel Boiardo e nell’Ariosto, per convincersi che si tratta qui d’un determinato ideale. Il titolo di virago, che il nostro secolo riguarda come un complimento abbastanza ambiguo, tornava a quei tempi puramente ad onore».
Nel secolo XVI s’aperse la scena alle donne, e comparvero le prime attrici. «A quel tempo la donna fu creduta capace d’arrivare al pari degli uomini al massimo grado di coltura». È il tempo in cui i panegirici in onore del sesso femminile si susseguono l’un l’altro. Tomaso Moro ne domanda la completa equiparazione al sesso maschile e Agrippa von Nettesheim eleva perfino le donne al di sopra degli uomini. Eppure quei grandi successi femministi si perdettero nuovamente, il tempo li dimenticò, finché venne il secolo XIX a trarli nuovamente alla luce.
Non è curioso che i tentativi di emancipare la donna si manifestino, a quanto pare, a intervalli nella storia dell’umanità?
Secondo quel che ne sappiamo, vi furon molte più donne emancipate e un movimento assai più forte si manifestò nei secoli X, XV e XVI, e ora di nuovo nel XIX e XX, che nell’età di mezzo. Sarebbe precipitato fondare già su ciò un’ipotesi, ma tuttavia si deve considerare la possibilità che esista in questo fenomeno una periodicità per la quale nelle fasi regolari nascono più ibridi, maggior numero cioè di forme intermedie, che negli intervalli. Per le bestie furono già osservati tali periodi riguardanti fatti consimili.
Secondo l’opinione qui esposta s’avrebbero dei tempi con gonocorismo minore; e il fatto che in dati periodi nascano più donne maschili del solito, domanderebbe come contrapposto che nello stesso tempo venissero alla luce anche uomini femminili in maggior quantità. Vediamo che ciò combina meravigliosamente. Si può forse ridurre a questa causa tutto il gusto secessionistico, che attribuisce la palma della bellezza alle donne alte e snelle [p. 65] dal petto piatto e i fianchi stretti. L’incredibile aumento dei costumi da damerino e dell’omosessualità negli ultimi anni non può aver altro motivo
le un maggior infemminilimento dell’era presente. E non manca una ragione profonda, per cui il gusto sessuale ed estetico del nostro tempo s’appoggia ai preraffaellisti.
Quando anche nella vita organica ci siano tali periodi simili alle oscillazioni nella vita del singolo, solo estesi a più generazioni, avremo più probabilità di comprendere certi punti oscuri nella storia dell umanità, di quello che lo abbiano saputo fare molte di quelle «interpretazioni storiche» che negli ultimi anni hanno cominciato a formicolare dovunque, specialmente la considerazione economico-materialistica. È certo che una considerazione della storia umana dal punto di vista biologico ci illuminerà molto in futuro. Tenteremo qui soltanto di indicarne l’utilità per il caso presente.
Se è vero che in dati tempi vengono partoriti più, in altri meno, uomini ermafroditi, dovrebbe derivarne che il movimento femminista cesserà prevedibilmente da sè e che dopo un tempo più o meno lungo apparirà di nuovo, per nuovamente scomparire in un ritmo senza fine. Infatti le donne che vorrebbero emanciparsi nascerebbero ora in maggiore, ora in minore quantità.
Non si parla qui naturalmente delle relazioni economiche che possono costringere anche la femminissima moglie d’un proletario ricco di figli a lavorare nelle fabbriche o nella costruzione di edifici. Il rapporto tra lo sviluppo delle arti od industrie e la questione femminista è assai più lento
di quello che si soglia farlo apparire specialmente dai teorici del socialismo; e ancor minore è il nesso causale tra le tendenze alla capacità di concorrenza psichica e quella economica. In Francia, per esempio, il movimento femminista non ha mai potuto prender ben piede, benché sia stato predicato da tre delle donne più celebri; eppure in nessun paese dell’Europa vi sono tante donne che esercitano indipendentemente i propri affari come là. La lotta per l’esistenza economica non ha dunque nulla a che fare con quella per arrivare a un contenuto spirituale della vita, se pure può dirsi che essa venga condotta in tal forma da un gruppo di donne: dobbiamo perciò ben distinguerle.
La prognosi di quest’ultimo movimento, quello spirituale, non si può dire troppo favorevole; essa è ancora più scoraggiante delle previsioni che si potrebbero fare qualora s’accettasse l’opinione di alcuni autori, che suppongono l’esistenza d’un progressivo sviluppo dell’umanità verso una completa differenziazione sessuale, cioè verso un totale dimorfismo sessuale.
Quest’opinione mi sembra assurda per il motivo che nel regno animale è assolutamente impossibile accertare una divisione dei sessi progrediente a seconda del posto superiore occupato nel sistema. Alcuni gefirei e rotatori, molti uccelli e, tra le scimmie, perfino il mandrillo dimostrano un gonocorismo [p. 66] assai più sviluppalo di quello dell’uomo considerato dal punto di vista morfologico. Ma mentre questa supposizione predice un tempo in cui almeno il bisogno d’emancipazione sarà spento per sempre, e non esisteranno più che maschi completi e femmine complete, l’idea d’un ritorno periodico del movimento femminista condanna completamente tutte le tendenze relative a un’impotenza dolorosa, fa apparire tutte le loro azioni come un lavoro delle Danaidi, i cui successi tornano da sè stessi nel nulla col progresso del tempo.
Tale triste fato potrebbe esser riservato all’emancipazione della donna, se essa continuasse a cercare il proprio scopo nella vita sociale e nella storia futura della specie e credesse, cieca, di vedere i propri nemici negli uomini e nelle istituzioni giuridiche da questi create. Naturalmente in tal caso sarebbe necessaria la formazione del corpo delle Amazzoni, nè si potrebbe arrivare a una vittoria durevole, quando esso dovesse sciogliersi poco tempo dopo formato. Questo ammaestramento dà alle femministe il movimento al tempo della Rinascenza, perduto senza lasciar traccia di sè. La vera liberazione dello spirito non può cercarsi con un esercito, per quanto numeroso e accanito: il singolo individuo deve combattere per procacciarla a sè stesso. Contro chi ? Contro quanto si contrappone nel suo stesso interno. Il grande, l’unico nemico dell’emancipazione della donna è la donna stessa.
Il che dimostreremo nella seconda parte.