Katherine Mansfield, 1918. “The Bliss” (“La felicità”; “Beatitudine”). Racconto pubblicato nella English Review nell’agosto 1918 e ristampato nella raccolta Bliss and Other Stories.
E’ una donna che riesce a destare in Bertha Young il primo interesse sessuale, inespresso col marito. La protagonista ha la certezza che miss Fulton condivida la stessa emozione, ma scoprirà che è l’amante del marito Harry. I passi citati sono tratti dallo http://short-cgi.repubblica.it/cgi-bin/shortstories/trova?ris=0918testo&bertha&14&1
Tra i racconti vedi anche:
“Leves amores”, risalente probabilmente agli anni 1905-1907 e riportato in appendice a C. Tomalin, K.M. –A Secret Life cit., pp. 259-260, con la nota: «Il testo è stato copiato da un dattiloscritto prestatomi da Navin Sulllivan, figlio di Vere Bartick-Baker (amica di K.M. al Queen’s College e dalla quale probabilmente fu ispirato). Pubblicato nella raccolta Mansfield. Tutti i racconti, traduzione di Maura Serra, Roma: Newton Compton, 1996.
“L’anima moderna”
“Garofano”
[…] Avevano ospiti a cena. I Knight, una coppia molto solida: lui, Norman, stava per aprire un teatro, mentre lei era una grande appassionata di decorazione d’interni; un giovane di nome Eddie Warren, che aveva appena pubblicato un libricino di poesie e che tutti invitavano a cena, e infine una “scoperta” di Bertha, una certa Pearl Fulton. Che cosa facesse Miss Fulton, Bertha non ne aveva idea. Si erano conosciute al club e Bertha si era innamorata di lei, come sempre le accadeva con le belle donne che avevano qualcosa di strano. La cosa seccante era che, benché si fossero incontrate diverse volte e avessero parlato in modo serio, Bertha non riusciva ancora a metterla a fuoco. Fino a un certo punto Miss Fulton era di una rara e meravigliosa franchezza, tuttavia quel certo punto era lì e lei non intendeva andare oltre. Ma c’era davvero qualcosa oltre? “No” diceva Harry. La considerava piuttosto noiosa e “fredda come tutte le bionde, con un pizzico, forse, di anemia cerebrale”. Ma Bertha non era d’accordo; non ancora, almeno.
[…] Le finestre del salotto si aprivano su un terrazzo che dava sul giardino. Giù in fondo, addossato al muro, c’era un pero alto e sottile in piena fioritura; come in stallo, si stagliava perfetto sul cielo verde giada. Perfino da quella distanza, Bertha ebbe la sensazione che non avesse nemmeno un germoglio o un petalo avvizzito. Sotto di lei, nelle aiuole, i tulipani rossi e gialli, carichi di fiori, sembravano adagiarsi contro il crepuscolo. Un gatto grigio attraversò furtivo il prato strisciando a terra la pancia, seguito da uno nero, la sua ombra. Nel vederli così assorti e veloci, Bertha venne scossa da uno strano brivido.
[…] Bertha parlò e rise scordandosi completamente, fino a quando non entrò Harry (proprio come lei lo aveva immaginato), che Pearl Fulton non si era ancora presentata. “Forse Miss Fulton se n’è dimenticata.” “C’è da aspettarselo” disse Harry. “È sull’elenco telefonico?” “Ah! È arrivato un taxi.” E Bertha sorrise con quell’aria da padrona che assumeva sempre fintanto che le sue scoperte femminili erano nuove e misteriose. “Lei ci vive nei taxi.” “Allora finirà per ingrassare” osservò Harry con freddezza, suonando la campanella della cena. “Un terribile pericolo per le bionde.”
[…] Fu allora che Miss Fulton, vestita d’argento da capo a piedi, con una fascia d’argento sui capelli biondo chiaro, entrò sorridente, la testa leggermente inclinata da un lato.
“Sono in ritardo?”
“No, affatto” rispose Bertha. “Si accomodi.” La prese sottobraccio e andarono in sala da pranzo.
Cosa c’era nel tocco di quel braccio fresco che era in grado di attizzare… attizzare… far divampare… divampare il fuoco di felicità di cui Bertha non sapeva che fare? Miss Fulton non la guardò, ma era raro che guardasse qualcuno in faccia. Le pesanti palpebre le scendevano sugli occhi e quel suo strano sorrisetto appariva e scompariva dalle labbra, come se vivesse ascoltando piuttosto che vedendo. Eppure d’un tratto, quasi si fossero scambiate il più lungo e intimo degli sguardi, quasi si fossero dette: “Anche tu?”, Bertha capì che Pearl Fulton, mentre mescolava l’invitante zuppa rossa nel piatto grigio, stava provando esattamente ciò che provava lei.
[…] Oh, perché quella sera tutto il mondo le faceva tanta tenerezza? Ogni cosa era bella, era giusta. Tutto ciò che accadeva sembrava rabboccare la sua coppa di felicità già piena fino all’orlo. E ancora, in fondo ai suoi pensieri, c’era il pero. Sarebbe stato d’argento ora, alla luce della luna del povero caro Eddie, d’argento come Miss Fulton, che se ne stava seduta rigirandosi un mandarino tra le dita affusolate e così pallide che sembravano irradiare luce. Quel che non riusciva proprio a capire – e che aveva del miracoloso – era come avesse potuto intuire con tanta precisione e immediatezza lo stato d’animo di Miss Fulton. Perché non dubitò nemmeno per un istante di avere ragione, e tuttavia su che cosa poteva basarsi? Niente di niente. “Credo sia una cosa che accade molto, molto di rado tra le donne. Mai tra gli uomini” pensò Bertha. “Ma quando preparerò il caffè in salotto, forse lei mi ‘darà un segno’.” Non aveva idea di che cosa volesse dire, né riusciva a immaginare quel che sarebbe accaduto dopo.
[…] E le due donne rimasero l’una accanto all’altra a osservare il sottile albero in fiore. Benché immobile, pareva allungarsi come la fiamma di una candela, diventare appuntito, fremere nell’aria luminosa e farsi sempre più alto sotto i loro sguardi, fin quasi a toccare il bordo della luna tonda e argentea. Per quanto tempo rimasero lì? Entrambe per così dire rapite da quel cerchio di luce ultraterrena, immerse in una perfetta comprensione reciproca, creature di un altro mondo che si domandavano che cosa avrebbero fatto in questo, con tutto quel tesoro di felicità che ardeva loro nel petto e si spargeva, in fiori d’argento, dai capelli e dalle mani. Per sempre… per un istante? E Miss Fulton mormorò davvero: “Sì. Proprio quello”. Oppure fu Bertha a sognarselo?
[…] Volse la testa verso il vestibolo. E vide… Harry con in mano il cappotto di Miss Fulton e Miss Fulton che gli voltava la schiena con la testa inclinata. Lui gettò via il cappotto, le mise le mani sulle spalle e la girò verso di sé in un gesto impetuoso. Le labbra di lui dissero: “Ti adoro”, Miss Fulton gli posò sulle guance le dita come raggi di luna e fece il suo sorriso assonnato. Le narici di Harry fremettero; le labbra gli si arricciarono in un orribile ghigno mentre sussurrava: “Domani” e con le palpebre Miss Fulton disse: “Sì”.
[…] Miss Fulton poi si avvicinò a Bertha e le porse le sue dita affusolate perché gliele stringesse. “Arrivederci. Molte grazie.” “Arrivederci” disse Bertha. Miss Fulton le trattenne la mano un istante. “È bellissimo il suo pero!” mormorò.
[…] Bertha si precipitò verso le portefinestre. “Oh, che cosa accadrà ora?” esclamò. Ma il pero era bello, pieno di fiori e immobile come sempre. E dopotutto il tempo era ideale. Non avrebbero potuto avere una giornata migliore per una festa in giardino, nemmeno se l’avessero ordinata. Senza vento, calda, in cielo nemmeno una nuvola. Solo l’azzurro era velato da una foschia color oro pallido, come a volte accade all’inizio dell’estate. Il giardiniere sin dall’alba era intento a tagliare e rastrellare il prato, fino a che l’erba e le rosette piatte e scure, dove prima c’erano le margherite, non sembrarono brillare. Quanto alle rose, non si poteva fare a meno di pensare che loro sapessero di essere gli unici fiori che colpiscono l’attenzione della gente alle feste in giardino, gli unici che tutti sono sicuri di conoscere. Erano sbocciate a centinaia, sì, letteralmente a centinaia in un’unica notte; i cespugli verdi si chinavano al suolo come se avessero ricevuto la visita di un arcangelo.