Radicalesbians, 1970. “The Woman-Identified Woman”. Originale allo http://scriptorium.lib.duke.edu/wlm/womid/
Qui anche nella traduzione italiana, “La donna che si identifica con le donne”, Bollettino del CLI. Collegamento fra le lesbiche italiane, anno 5, s.n., marzo 1986, pp. 7-11. Traduzione di Liana Borghi; trascrizione di N.M.
ANNOTAZIONI: Saggio molto noto in Italia anche prima della pubblicazione sul Bollettino del CLI(ad es. in un ciclostilato del 1981 (vedi Lilith) e nel 1984 distribuito dal CDM (cfr. Danna).
Sul Bollettino viene così presentato: “Il documento che presentiamo in questo numero alla lettura & o rilettura delle nostre abbonate è un “classico” degli inizi del movimento lesbico femminista. Esso fu letto dal gruppo americano «Radicalesbians» (lesbiche radicali) durante il 2° Congresso per unire le donne, il 1 maggio 1970, a New York. Venne subito stampato sul giornale lesbico The Ladder e ripubblicato in varie antologie. La traduzione italiana è di Liana Borghi”.
Successivamente ristampato nella raccolta Memoria irregolare. [N.M.]
“La donna che si identifica con le donne”
Radicalesbians
Cos’è una lesbica? Una lesbica è la rabbia di tutte le donne condensata fino al punto dell’esplosione.
E’ la donna che, cominciando spesso molto presto, agisce seconde una spinta interiore per diventare un essere umano più completo e libero di quanto la società le permetta allora e in seguito. Questi bisogni e queste azioni, in un periodo di anni, la mettono in doloroso conflitto con persone, situazioni, modi accettati di pensare, di sentire e di comportarsi, finchè si trova in stato di guerra continua con tutto ciò che la circonda e solitamente anche con se stessa. Potrà non essere pienamente cosciente delle implicazioni politiche di ciò che per lei è iniziato come necessità personale, ma a certi livelli non è stata capace di accettate le limitazioni e l’oppressione a lei imposta dal ruolo più basilare della società — il ruolo femminile. Il disagio che prova tende ad indurre [fine p. 7] in lei un senso di colpa proporzionale al grado in cui sente di non adeguarsi alle aspettative sociali, e prima o poi esso la costringerà a mettere in discussione e ad analizzare ciò che il resto della società più o meno accetta. E’ obbligata a sviluppare un proprio modello di vita, spesso vivendo gran parte della sua vita sola, imparando di solito molto prima delle compagne “normali” (eterosessuali) l’essenziale solitudine della vita (che il mito del matrimonio oscura) e la realtà delle illusioni. Non potendo liberarsi dalla pesante socializzazione che Si accompagna all’«essere donna» non riuscirà mai ad essere veramente in pace con se stessa.
Poichè si trova incastrata tra accettare l’immagine che la società ha di lei – nel qual caso non può accettare se stessa – ed arrivare a capire ciò che questa società sessista le ha fatto, e perchè è funzionale e necessario che continui a farglielo. Quelle di noi che riescono a prendere coscienza di questo fatto si ritrovano alla fine di un tortuoso viaggio attraverso la notte che può essere durato decenni. La prospettiva conquistata attraverso il viaggio, la liberazione di sé, la pace interiore, il vero amore di sé e di tutte le donne, è qualcosa che dobbiamo condividere con tutte le donne – perchè noi siamo tutte donne.
Si dovrebbe capire innanzitutto che il lesbismo, come l’omosessualità maschile, è una categoria di comportamento possibile solo in una società sessista caratterizzata da rigidi ruoli sessuali e dominata dalla supremazia maschile. Questi ruoli sessuali disumanizzano la donna, perchè ci definiscono come una casta di appoggio e servizio vista esclusivamente in rapporto con la casta dei padroni uomini; questi ruoli inoltre danneggiano gli uomini imponendo loro di alienare se stessi dal corpo e dalle emozioni per poter adempiere efficacemente a funzioni economiche, politiche e militari.
L’omosessualità è effetto collaterale di un particolare modo di definire i ruoli (o modelli di comportamento accettati) in base al sesso; e pertanto è una categoria non autentica (cioè non ha fondamento reale). In una società dove gli uomini non opprimessero le donne e le manifestazioni sessuali fossero in accordo con i sentimenti, le categorie di omosessualità ed eterosessualità scomparirebbero.
Ma il lesbismo è anche diverso dall’omosessualità maschile e adempie ad una funzione diversa nella società. “Lesbica” è un epiteto diverso da “checca”, sebbene l’uno e l’altro implichino che non viene seguito il ruolo sessuale assegnatoci socialmente, che non si è perciò una “vera donna”, né un “vero uomo”. L’ammirazione riluttante che sentiamo per la bambina che fa il maschiaccio, e la nausea che sentiamo per il bambino che fa la femminuccia indicano la stessa cosa: che disprezziamo le donne o coloro che assumono il ruolo femminile. E c’è un grossissimo investimento nel mantenere le donne in quel ruolo disprezzato.
Lesbica è la parola, l’etichetta, la condizione che tiene in riga le donne. Quando una donna si sente buttare addosso questa parola sa che non sta rigando diritto. Sa che ha sconfinato dai limiti del suo ruolo sessuale. Arretra, protesta, modifica il suo comportamento per guadagnarsi approvazione. Lesbica è un’etichetta inventata dall’uomo per appiopparla ad ogni donna che osa essere sua pari e che osa sfidare le sue prerogative (inclusa quella di usare le donne come mezzo di scambio fra uomini), che osa asserire la priorità dei propri bisogni. Appiccicare questa etichetta a persone che si occupano della liberazione della donna è l’esempio più recente di una lunga storia; le donne più anziane si ricorderanno che non molto tempo fa tutte le donne di successo, indipendenti, e quelle che non orientavano la loro vita verso un uomo sentivano dire questa parola. Perchè in questa società sessista essere indipendente per una donna significa che non può essere una donna – deve essere una lesbica.
Questo di per sè dovrebbe dirci a che punto sono le donne. Ci dice chiarissimamente: donna e persona sono due termini contraddittori. Perchè una lesbica non è considerata una “vera donna”. Eppure, secondo l’opinione corrente, c’è solo una differenza essenziale fra la lesbica e le altre donne: quella dell’orientamento sessuale – vale a dire che quando finisci di strappare l’involucro finalmente ti rendi conto che l’essenza di essere “donna” è essere scopata dagli uomini. [fine p. 8]
“Lesbica” è una delle categorie sessuali secondo le quali gli uomini hanno diviso l’umanità. Mentre tutte le donne sono disumanizzate perchè ridotte ad oggetti sessuali, proprio perché oggetto degli uomini vengono loro dati compensi quali: l’identificazione con il potere di lui, con il suo io, con la sua posizione sociale; la protezione (dagli altri uomini); il sentirsi una “vera donna”; l’accettazione sociale per l’adesione al proprie ruolo, ecc.
Quando una donna confronta se stessa confrontandosi con un’altra donna trova meno razionalizzazioni e cuscinetti con cui nascondersi tutto l’orrore della propria condizione disumanizzata. Troviamo che questo causa la grossa paura che molte donne provano nel cercare rapporti intimi con altre donne: la paura di essere usate come oggetto sessuale da una donna, il che non solo non porta compensi di tipo maschile, ma per di più rivela la vera condizione della donna, cioè il vuoto. Questa disumanizzazione si evidenzia quando una donna “normale” viene a sapere che una sua compagna è lesbica. Comincia allora a rapportarsi alla compagna lesbica come se fosse un potenziale oggetto sessuale e le impone un surrogato di ruolo maschile. Questo rivela il condizionamento eterosessuale che la induce a porsi come oggetto quando viene potenzialmente chiamato in causa il sesso in un rapporto, e che nega la sua piena umanità. Per le donne, specie quelle del movimento, percepire le compagne lesbiche attraverso questa griglia maschile della definizione del ruolo significa accettare tale condizionamento culturale maschile e opprimere le loro compagne così come gli uomini hanno oppresso loro. Vogliamo continuare questo sistema maschile di classificazione che definisce tutte le donne in rapporto sessuale con qualche altracategoria di persone? Attaccare l’etichetta di “lesbica” non solo ad una donna che aspira ad essere una persona, ma anche a qualsiasi situazione di vero amore, vera solidarietà, vera priorità fra donne è una prima forma di divisione fra donne; è la condizione che mantiene le donne nei confini del ruolo femminile ed è il termine avvilente e temibile che impedisce alle donne di formare tra loro aggregazioni, gruppi o associazioni di primaria importanza.
Nella maggioranza dei casi le donne del movimento hanno fatto di tutto per evitare discussioni e confronti sul tema del lesbismo, che mette la gente sulla difensiva. Loro sono ostili, evasive, oppure cercano di incorporarlo in qualche “gestione più ampia”. Preferirebbero non parlarne. Se devono farlo, cercano di affossarlo come un falso problema. Ma non ‘e una questione periferica. E’ assolutamente essenziale per il successo e la riuscita del movimento di liberazione delle donne che questa questione venga affrontata. Fino al punto che l’etichetta di “lesbica” viene usata per intimidire una donna e costringerla ad adottare una posizione meno militante, per tenerla separata dalle compagne, per impedirle di dare priorità ad altro che agli uomini o alla famiglia – fino a questo punto la donna è controllata dalla cultura maschile. Finchè le donne non vedono nelle altre donne la possibilità di un rapporto primario che include l’amore sessuale, si negheranno l’un l’altra l’amore e il valore che liberamente accordano agli uomini, e confermeranno così la loro posizione subordinata. Finchè essere accetta al maschio è di primaria importanza, sia per le singole donne sia per tutto il movimento – il termine “lesbica” sarà usato efficacemente contro le donne. Finchè le donne vogliono soltanto privilegi maggiori all’interno del sistema, non vorranno contrapporsi al potere maschile. Cercheranno invece di rendere accettabile la liberazione delle donne e l’aspetto più cruciale di questa accettazione sarà la negazione del lesbismo: cioè la negazione di qualsiasi vera sfida alla base del ruolo femminile.
Va anche detto che alcune tra le donne più giovani e radicali hanno cominciato a discutere onestamente il lesbismo, ma finora l’hanno discusso soprattutto in quanto “alternativa” sessuale agli uomini. Ciò significa dare ancora e comunque il primato agli uomini, sia perchè l’idea di rapportarsi più completamente alle donne avviene come reazione negativa nei confronti degli uomini, sia perchè il rapporto lesbico viene visto esclusivamente in veste sessuale, il che è disgregante e sessista. Ad un certo livello, sia personale sia politico, le donne possono sottrarre agli uomini energie sia personali che politiche, ed usare quelle energie nella loro vita in modo alternativo. A diverso livello [fine p. 9] politico/psicologico è essenziale capire che le donne devono cominciare a staccarsi da modelli di comportamento definiti dagli uomini. Nel privato della nostra psiche dobbiamo tagliare questi legami fino al vivo. Perché anche preacindendo dalla direzione presa dal nostro amore e dalle nostre energie sessuali, se nella testa ci identifichiamo con i maschi non possiamo realizzarci come esseri autonomi.
Ma com’è che le donne si rapportano con e attraverso gli uomini? Crescendo in una società maschile, abbiamo interiorizzato la definizione culturale maschile di noi stesse. Quella definizione ci vede come esseri relativi che non hanno esistenza propria ma esistono per il servizio, la manutenzione e il comodo degli uomini. Quella definizione ci relega a funzioni sessuali e familiari, e ci impedisce di definire e plasmare i termini della nostra vita. In cambio di manutenzione psichica e dell’adempimento di funzioni sociali non remunerate, l’uomo ci conferisce una cosa: quel posto di schiave che ci legittimizza agli occhi della società in cui viviamo. Questo si chiama “femminilità” o “essere una donna” in gergo culturale. Siamo autentiche, legittime, reali in quanto siamo la proprietà di un uomo di cui portiamo il nome. Essere la donna che non appartiene a nessun uomo significa essere invisibile, patetica, non autentica, irreale. Lui conferma l’immagine che ha di noi — di ciò che dobbiamo essere perchè ci accetti — ma non chi siamo veramente; lui conferma la nostra donnità — come la definisce lui, in relazione a se stesso — ma non può confermare là nostra identità di persone, di noi stesse in assoluto. Finché dipendiamo dalla cultura maschile per questa definizione, per questa approvazione, non possiamo essere libere.
La conseguenza dell’interiorizzazione di questo ruolo è una enorme riserva di auto-odio. Ciò non significa che l’odio di sé sia riconosciuto ed accettato come tale; anzi molte donne negherebbero di odiare se stesse. Si può avvertire come disagio del proprio ruolo, sensazione di vuoto, insensibilità, irrequietezza, come un’ansia che paralizza il centro. Alternativamente può esprimersi come stridula difesa della grandezza e del destino del proprio ruolo. Ma esiste, spesso nel risvolto della coscienza, avvelena l’esistenza, aliena la donna da se stessa, dai suoi bisogni, la estranea dalle altre donne. Essa cerca di fuggire identificandosi con l’oppressore, vivendo attraverso di lui, assumendo la posizione e l’importanza di lui, il suo potere, le due doti. E non identificandosi con altre “zucche vuote” come lei. La donna oppone resistenza a qualsiasi tipo di rapporto con altre donne che rifletta la sua oppressione, la sua posizione secondaria, il suo odio di sé. Perché confrontarsi con un’ altra donna significa in fondo confrontare se stessa — quel noi stesse che abbiamo cercato tanto di evitare. Guardandoci in quello specchio sappiamo che non possiamo rispettare veramente né amare quello che ci hanno fatto diventare. Poiché la fonte del nostro auto-odio e della mancanza di un io reale nasce dall’identità che i maschi ci hanno dato, dobbiamo creare un nuovo modo di sentirci. Finché ci aggrappiamo all’idea di “essere donna”, avvertiremo il conflitto con quell’io incipiente, quel senso di sé, quel senso dell’interezza della persona. E’ molto difficile rendersi conto ed accettare che essere “femminile” ed essere una persona intera sono cose inconciliabili. Solo le donne possono darsi l’un l’altra un nuovo modo di sentirsi. La nuova identità dobbiamo svilupparla in riferimento a noi stesse e non in relazione agli uomini.
La coscienza di ciò é la forza rivoluzionaria a cui farà seguito ogni altra cosa, perchè la nostra è una rivoluzione organica. Perciò dobbiamo essere aperte ed appoggiarci l’un l’altra, dare la nostra disponibilità e il nostro amore, dare l’appoggio emotivo neessario a sostenere questo movimento. Le nostre energie devono scorrere verso le nostre compagne, non rifluire verso i nostri oppressori. Finché la liberazione delle donne cerca il liberare le donne senza confrontarsi con la struttura eterosessuare di base che ci lega in rapporti di uno ad uno con i nostri oppressori, una straordinaria quantità di energie continuerà ad essere impiegata nel rapporto individuale con un uomo: come avere migliori rapporti sessuali, come fargli cambiare testa – cercando di farne un “uomo nuovo”, illudendoci che questo ci permetterà di essere la “nuova donna”. E’ chiaro che questo frammenta le nostre energie e divide la nostra lealtà, [fine p. 10] rendendoci incapaci di dedicarci alla costruzione di nuovi modelli liberatori. E’ fondamentale che le donne si rapportino ad altre donne, che creino insieme una nuova coscienza di sé e delle altre perchè questo è il cuore della liberazione delle donne e la base della rivoluzione culturale. Insieme dobbiamo trovare, rafforzare e convalidare la nostra autenticità. Ciò facendo ci confermiamo a vicenda quel senso nascente di orgoglio e di forza; le barriere si sciolgono, cresce la solidarietà con le compagne. Diminuisce il senso di alienazione, di essere tagliate fuori, di star dietro a una finestra chiusa, di essere incapaci di far uscire quello che sappiamo di avere dentro. Sentiamo di essere reali, sentiamo che infine veniamo a coincidere con noi stesse. Con quel vero essere, con quella coscienza, cominciamo una rivoluzione per mettere fine ad ogni identificazione coatta, e per raggiungere il massimo dell’autonomia nell’espressione umana.
[fine p. 11]
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The Woman Identified Woman
What is a lesbian? A lesbian is the rage of all women condensed to the point of explosion. She is the woman who, often beginning at an extremely early age, acts in accordance with her inner compulsion to be a more complete and freer human being than her society – perhaps then, but certainly later – cares to allow her. These needs and actions, over a period of years, bring her into painful conflict with people, situations, the accepted ways of thinking, feeling and behaving, until she is in a state of continual war with everything around her, and usually with her self. She may not be fully conscious of the political implications of what for her began as personal necessity, but on some level she has not been able to accept the limitations and oppression laid on her by the most basic role of her society—the female role. The turmoil she experiences tends to induce guilt proportional to the degree to which she feels she is not meeting social expectations, and/or eventually drives her to question and analyze what the rest of her society more or less accepts. She is forced to evolve her own life pattern, often living much of her life alone, learning usually much earlier than her “straight” (heterosexual) sisters about the essential aloneness of life (which the myth of marriage obscures) and about the reality of illusions. To the extent that she cannot expel the heavy socialization that goes with being female, she can never truly find peace with herself. For she is caught somewhere between accepting society’s view of her – in which case she cannot accept herself – and coming to understand what this sexist society has done to her and why it is functional and necessary for it to do so. Those of us who work that through find ourselves on the other side of a tortuous journey through a night that may have been decades long. The perspective gained from that journey, the liberation of self, the inner peace, the real love of self and of all women, is something to be shared with all women – because we are all women. It should first be understood that lesbianism, like male homosexuality, is a category of behavior possible only in a sexist society characterized by rigid sex roles and dominated by male supremacy. Those sex roles dehumanize women by defining us as a supportive/serving caste in relation to the master caste of men, and emotionally cripple men by demanding that they be alienated from their own bodies and emotions in order to perform their economic/political/military functions effectively. Homosexuality is a by-product of a particular way of setting up roles ( or approved patterns of behavior) on the basis of sex; as such it is an inauthentic ( not consonant with “reality”) category. In a society in which men do not oppress women, and sexual expression is allowed to follow feelings, the categories of homosexuality and heterosexuality would disappear. But lesbianism is also different from male homosexuality, and serves a different function in the society. “Dyke” is a different kind of put-down from “faggot”, although both imply you are not play- [p.2] -ing your socially assigned sex role… are not therefore a “real woman” or a “real man. ” The grudging admiration felt for the tomboy, and the queasiness felt around a sissy boy point to the same thing: the contempt in which women-or those who play a female role-are held. And the investment in keeping women in that contemptuous role is very great. Lesbian is a word, the label, the condition that holds women in line. When a woman hears this word tossed her way, she knows she is stepping out of line. She knows that she has crossed the terrible boundary of her sex role. She recoils, she protests, she reshapes her actions to gain approval. Lesbian is a label invented by the Man to throw at any woman who dares to be his equal, who dares to challenge his prerogatives ( including that of all women as part of the exchange medium among men), who dares to assert the primacy of her own needs. To have the label applied to people active in women’s liberation is just the most recent instance of a long history; older women will recall that not so long ago, any woman who was successful, independent, not orienting her whole life about a man, would hear this word. For in this sexist society, for a woman to be independent means she can’t be a woman – she must be a dyke. That in itself should tell us where women are at. It says as clearly as can be said: women and person are contradictory terms. For a lesbian is not considered a “real woman. ” And yet, in popular thinking, there is really only one essential difference between a lesbian and other women: that of sexual orientation – which is to say, when you strip off all the packaging, you must finally realize that the essence of being a “woman” is to get fucked by men. “Lesbian” is one of the sexual categories by which men have divided up humanity. While all women are dehumanized as sex objects, as the objects of men they are given certain compensations: identification with his power, his ego, his status, his protection (from other males), feeling like a “real woman, ” finding social acceptance by adhering to her role, etc. Should a woman confront herself by confronting another woman, there are fewer rationalizations, fewer buffers by which to avoid the stark horror of her dehumanized condition. Herein we find the overriding fear of many women toward being used as a sexual object by a woman, which not only will bring her no male-connected compensations, but also will reveal the void which is woman’s real situation. This dehumanization is expressed when a straight woman learns that a sister is a lesbian; she begins to relate to her lesbian sister as her potential sex object, laying a surrogate male role on the lesbian. This reveals her heterosexual conditioning to make herself into an object when sex is potentially involved in a relationship, and it denies the lesbian her full humanity. For women, especially those in the movement, to perceive their lesbian sisters through this male grid of role definitions is to accept this male cultural conditioning and to oppress their sisters much as they themselves have been oppressed by men. Are we going to continue the male classification system of defining all females in sexual relation to some other category of people? Affixing the label lesbian not only to a woman who aspires to be a person, but also to any situation of real love, real solidarity, real primacy among women, is a primary form of divisiveness among women: it is the condition which keeps women within the confines of the feminine role, and it is the debunking/scare term that keeps women from forming any primary attachments, groups, or associations among ourselves. Women in the movement have in most cases gone to great lengths to avoid discussion and confrontation with the issue of lesbianism. It puts people up-tight. They are hostile, evasive, or try to incorporate it into some ‘broader issue. ” They would rather not talk about it. If they have to, they try to dismiss it as a ‘lavender herring. ” But it is no side issue. It is absolutely essential to the success and fulfillment of the women’s liberation movement that this issue be dealt with. As long as the label “dyke” can be used to frighten women into a less militant stand, keep her separate from her sisters, keep her from giving primacy to anything other than men and family-then to that extent she is controlled by the male culture. Until women see in each other the possibility of a primal commitment which includes sexual love, they will be denying themselves the love and [p.3] value they readily accord to men, thus affirming their second-class status. As long as male acceptability is primary-both to individual women and to the movement as a whole-the term lesbian will be used effectively against women. Insofar as women want only more privileges within the system, they do not want to antagonize male power. They instead seek acceptability for women’s liberation, and the most crucial aspect of the acceptability is to deny lesbianism – i. e., to deny any fundamental challenge to the basis of the female. It should also be said that some younger, more radical women have honestly begun to discuss lesbianism, but so far it has been primarily as a sexual “alternative” to men. This, however, is still giving primacy to men, both because the idea of relating more completely to women occurs as a negative reaction to men, and because the lesbian relationship is being characterized simply by sex, which is divisive and sexist. On one level, which is both personal and political, women may withdraw emotional and sexual energies from men, and work out various alternatives for those energies in their own lives. On a different political/psychological level, it must be understood that what is crucial is that women begin disengaging from male- defined response patterns. In the privacy of our own psyches, we must cut those cords to the core. For irrespective of where our love and sexual energies flow, if we are male-identified in our heads, we cannot realize our autonomy as human beings. But why is it that women have related to and through men? By virtue of having been brought up in a male society, we have internalized the male culture’s definition of ourselves. That definition consigns us to sexual and family functions, and excludes us from defining and shaping the terms of our lives. In exchange for our psychic servicing and for performing society’s non-profit-making functions, the man confers on us just one thing: the slave status which makes us legitimate in the eyes of the society in which we live. This is called “femininity” or “being a real woman” in our cultural lingo. We are authentic, legitimate, real to the extent that we are the property of some man whose name we bear. To be a woman who belongs to no man is to be invisible, pathetic, inauthentic, unreal. He confirms his image of us – of what we have to be in order to be acceptable by him – but not our real selves; he confirms our womanhood-as he defines it, in relation to him- but cannot confirm our personhood, our own selves as absolutes. As long as we are dependent on the male culture for this definition, for this approval, we cannot be free. The consequence of internalizing this role is an enormous reservoir of self-hate. This is not to say the self-hate is recognized or accepted as such; indeed most women would deny it. It may be experienced as discomfort with her role, as feeling empty, as numbness, as restlessness, as a paralyzing anxiety at the center. Alternatively, it may be expressed in shrill defensiveness of the glory and destiny of her role. But it does exist, often beneath the edge of her consciousness, poisoning her existence, keeping her alienated from herself, her own needs, and rendering her a stranger to other women. They try to escape by identifying with the oppressor, living through him, gaining status and identity from his ego, his power, his accomplishments. And by not identifying with other “empty vessels” like themselves. Women resist relating on all levels to other women who will reflect their own oppression, their own secondary status, their own self-hate. For to confront another woman is finally to confront one’s self-the self we have gone to such lengths to avoid. And in that mirror we know we cannot really respect and love that which »ve have been made to be. As the source of self-hate and the lack of real self are rooted in our male-given identity, we must create a new sense of self. As long as we cling to the idea of “being a woman, ” ve will sense some conflict with that incipient self, that sense of I, that sense of a whole person. It is very difficult to realize and accept that being “feminine” and being a whole person are irreconcilable. Only women can give to each other a new sense of self. That identity we have to develop with reference to ourselves, and not in relation to men. This consciousness is the revolutionary force from which [p.4] all else will follow, for ours is an organic revolution. For this we must be available and supportive to one another, give our commitment and our love, give the emotional support necessary to sustain this movement. Our energies must flow toward our sisters, not backward toward our oppres sors. As long as woman’s liberation tries to free women without facing the basic heterosexual structure that binds us in one-to-one relationship with our oppressors, tremendous energies will continue to flow into trying to straighten up each particular relationship with a man, into finding how to get better sex, how to turn his head around-into trying to make the “new man” out of him, in the delusion that this will allow us to be the “new woman. ” This obviously splits our energies and commitments, leaving us unable to be committed to the construction of the new patterns which will liberate us. It is the primacy of women relating to women, of women creating a new consciousness of and with each other, which is at the heart of women’s liberation, and the basis for the cultural revolution. Together we must find, reinforce, and validate our authentic selves. As we do this, we confirm in each other that struggling, incipient sense of pride and strength, the divisive barriers begin to melt, we feel this growing solidarity with our sisters. We see ourselves as prime, find our centers inside of ourselves. We find receding the sense of alienation, of being cut off, of being behind a locked window, of being unable to get out what we know is inside. We feel a real-ness, feel at last we are coinciding with ourselves. With that real self, with that consciousness, we begin a revolution to end the imposition of all coercive identifications, and to achieve maximum autonomy in human expression.
Printed with permission by: KNOW, INC P.O. BOX 86031 PITTSBURGH, PA 15221
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Traduzione italiana: http://www.leswiki.it/repository/testi/1970radicalesbians-cli1986.doc