Testo diffuso sotto forma di volantino davanti alle librerie di Roma. Ma non solo: vedi allo https://archivi.polodel900.it/scheda/oai:polo900.it:207242_rivolta-femminile-in-ubu-07-1970-p-16 che fu pubblicato anche in: Rivolta femminile (a cura di), 1970. “Sputiamo su Hegel”, Ubu [testata presunta], luglio 1970, pp. 14-16
Tratto dallo http://www.universitadelledonne.it/riv-femm.htm
Le donne saranno sempre divise le une dalle altre? Non formeranno mai un corpo unico?
(Olympe de Gouges, 1791)
La donna non va definita in rapporto all’uomo. Su questa coscienza si fondano tanto la nostra lotta quanto la nostra libertà.
L’uomo non è il modello a cui adeguare il processo della scoperta di sé da parte della donna.
La donna è l’altro rispetto all’uomo. L’uomo è l’altro rispetto alla donna. L’uguaglianza è un tentativo ideologico per asservire la donna a più alti livelli.
Identificare la donna all’uomo significa annullare l’ultima via di liberazione.
Liberarsi, per la donna, non vuol dire accettare la stessa vita dell’uomo perché è invivibile, ma esprimere il suo senso dell’esistenza.
La donna come soggetto non rifiuta l’uomo come soggetto, ma lo rifiuta come ruolo assoluto. Nella vita sociale lo rifiuta come ruolo autoritario.
Finora il mito della complementarità è stato usato dall’uomo per giustificare il proprio potere.
Le donne sono persuase fin dall’infanzia a non prendere decisioni e a dipendere da persona «capace» e «responsabile»: il padre, il marito, il fratello…
L’immagine femminile con cui l’uomo ha interpretato la donna è stata una sua invenzione.
Verginità, castità, fedeltà non sono virtù; ma vincoli per costruire e mantenere la famiglia. L’onore ne è la conseguente codificazione repressiva.
Nel matrimonio la donna, priva del suo nome, perde la sua identità significando il passaggio di proprietà che è avvenuto tra il padre di lei e il marito.
Chi genera non ha la facoltà di attribuire ai figli il proprio nome: il diritto della donna è stato ambito da altri di cui è diventato il privilegio.
Ci costringono a rivendicare l’evidenza di un fatto naturale.
Riconosciamo nel matrimonio l’istituzione che ha subordinato la donna al destino maschile. Siamo contro il matrimonio.
Il divorzio è un innesto di matrimonio da cui l’istituzione esce rafforzata.
La trasmissione della vita, il rispetto della vita, il senso della vita sono esperienza intensa della donna e valori che lei rivendica.
Il primo elemento di rancore della donna verso la società sta nell’essere costretta ad affrontare la maternità come un aut-aut.
Denunciamo lo snaturamento di una maternità pagata al prezzo dell’esclusione.
La negazione della libertà dell’aborto rientra nel veto globale che viene fatto all’autonomia della donna. Non vogliamo pensare alla maternità tutta la vita e continuare a essere inconsci strumenti del potere patriarcale.
La donna è stufa di allevare un figlio che le diventerà un cattivo amante.
In una libertà che si sente di affrontare, la donna libera anche il figlio, e il figlio è l’umanità.
In tutte le forme di convivenza, alimentare, pulire, accudire e ogni momento del vivere quotidiano devono essere gesti reciproci.
Per educazione e per mimesi l’uomo e la donna sono già nei ruoli nella primissima infanzia.
Riconosciamo il carattere mistificatorio di tutte le ideologie, perché attraverso le forme ragionate di potere (teologico, morale, filosofico, politico), hanno costretto l’umanità a una condizione in autentica, oppressa e consenziente.
Dietro ogni ideologia noi intravediamo la gerarchia nei sessi. Noi vogliamo d’ora in poi tra noi e il mondo nessuno schermo.
Il femminismo è stato il primo momento politico di critica storica alla famiglia e alla società.
Unifichiamo le situazioni e gli episodi dell’esperienza storica femminista: in essa la donna si è manifestata interrompendo per la prima volta il monologo della civiltà patriarcale.
Noi identifichiamo nel lavoro domestico non retribuito la prestazione che permette al capitalismo, privato e di stato, di sussistere.
Permetteremo ancora quello che di continuo si ripete al termine di ogni rivoluzione popolare quando la donna, che ha combattuto insieme con gli altri, si trova messa da parte con tutti i suoi problemi?
Detestiamo i meccanismi della competitività e il ricatto che viene esercitato nel mondo dalla egemonia dell’efficienza. Noi vogliamo mettere la nostra capacità lavorativa a disposizione di una società che ne sia immunizzata.
La guerra è stata sempre l’attività del maschio e il suo modello di comportamento virile.
La parità di retribuzione è un nostro diritto, ma la nostra oppressione è un’altra cosa. Ci basta la parità salariale quando abbiamo già sulle spalle ore di lavoro domestico?
Riesaminiamo gli apporti creativi della donna alla comunità e sfatiamo il mito della sua laboriosità sussidiaria.
Dare alto valore ai momenti « improduttivi » è un’estensione di vita proposta dalla donna.
Chi ha il potere afferma: «Fa parte dell’erotismo amare un essere inferiore ». Mantenere lo status quo è dunque un suo atto di amore.
Accogliamo la libera sessualità in tutte le sue forme, perché abbiamo smesso di considerare la frigidità un’alternativa onorevole.
Continuare a regolamentare la vita fra i sessi è una necessità del potere; l’unica scelta soddisfacente è un rapporto libero. Sono un diritto dei bambini e degli adolescenti la curiosità e i giochi sessuali.
Abbiamo guardato per 4.000 anni: adesso abbiamo visto!
Alle nostre spalle sta l’apoteosi della millenaria supremazia maschile. Le religioni istituzionalizzate ne sono state il più fermo piedistallo. E il concetto di « genio» ne ha costituito l’irraggiungibile gradino.
La donna ha avuto l’esperienza di vedere ogni giorno distrutto quello che faceva.
Consideriamo incompleta una storia che si è costituita, sempre, senza considerare la donna soggetto attivo di essa.
Nulla o male è stato tramandato della presenza della donna: sta a noi riscoprirla per sapere la verità.
La civiltà ci ha definite inferiori, la Chiesa ci ha chiamate sesso, la psicanalisi ci ha tradite, il marxismo ci ha vendute alla rivoluzione ipotetica.
Chiediamo referenze di millenni di pensiero filosofico che ha teorizzare l’inferiorità della donna.
Della grande umiliazione che il mondo patriarcale ci ha imposto noi consideriamo responsabili i sistematici del pensiero: essi hanno mantenuto il principio della donna come essere aggiuntivo per la riproduzione della umanità, legame con la divinità o soglia del mondo animale sfera privata e pietas. Hanno giustificato nella metafisica ciò che era ingiusto e atroce della vita della donna.
Sputiamo su Hegel.
La dialettica servo-padrone è una regolazione di conti, tra collettivi di uomini: essa non prevede la liberazione della donna, il grande oppresso della civiltà patriarcale.
La lotta di classe come teoria rivoluzionaria sviluppata dalla dialettica servo-padrone, ugualmente esclude la donna. Noi rimettiamo in discussione il socialismo e la dittatura del proletariato.
Non riconoscendosi nella cultura maschile, la donna le toglie l’illusione dell’universalità.
L’uomo ha sempre parlato a nome del genere umano, ma metà della popolazione terrestre lo accusa ora di aver sublimare una mutilazione.
La forza dell’uomo è nel suo identificarsi con la cultura, la nostra nel rifiutarla.
Dopo questo atto di coscienza l’uomo sarà distinto dalla donna e dovrà ascoltare da lei tutto quello che la concerne.
Non salterà il mondo se l’uomo non avrà più l’equilibrio psicologico basato sulla nostra sottomissione.
Nella cocente realtà di un universo che non ha mai svelato i suoi segreti, noi togliamo molto del credito dato agli accanimenti della cultura. Vogliamo essere all’altezza di un universo senza risposte.
Noi cerchiamo l’autenticità del gesto di rivolta e non la sacrificheremo né all’organizzazione né al proselitismo.
Roma, luglio 1970.