Leo Pestelli, “Saffo e la caduta degli dei”. La Stampa, mercoledì 17 maggio 1972
PUNGENTE FILM TEDESCO AL FESTIVAL DI CANNES
Saffo e la caduta degli dei
Dopo il successo della « Classe operaia va in Paradiso » di Petri, la seconda pellicola della Germania Federale, «Trotta» di Johannes Schaf – E’ una parabola sullo sfacelo morale dell’impero absburgico visto attraverso la storia di una famiglia e la sua estrema dissoluzione nelle «amicizie particolari» femminili
(Dal nostro inviato speciale) Cannes, 16 maggio. Il nostro cinema si è complessivamente portato con onore in questa rassegna, essendovi stato seguito con interesse, e applaudito, anche il bel film di Elio Petri, La classe operaia va in paradiso, interpretato da Gian Maria Volontè e da Mariangela Melato. Senza dubbio si è sentito un qualche eccesso di metallurgia nella nostra « selezione » ufficiale, che forse sarebbe stata più piena e variata se nella terna fosse entrato il film di Zeffirelli, Fratello sole sorella luna, particolarmente adatto, per il tema e le sue qualità di raffinato spettacolo, al clima di qui.
Nello stesso giorno ha fatto la seconda comparsa la Germania Federale con un film scritto diretto e prodotto da quel Johannes Schaaf che si fece valere alla Mostra del Lido del ’67 con Tatuaggio, drammatica storia di un orfano adottato da un industriale e del suo totale rifiuto a lasciarsi integrare nella civiltà consumistica. Il suo nuovo film, Trotta (ispirato dal romanzo di Joseph Roth «La tomba di famiglia» ), non ha quelle attinenze coi problemi della Germania d’oggi, ma in quanto rappresenta « una caduta degli dei », cioè lo sfacelo morale e materiale dell’Impero austro-ungarico, s’innesta i quel doloroso esame di coscienza circa le borie nazionalistiche e le supremazie militari, dal quale 11 cinema tedesco di questi ultimi anni ha tolto le sue più stimolanti parabole. Trotta è il nome del protagonista, un giovane luogotenente dell’esercito austriaco, nato da una .famiglia di sangue sloveno, blasonata di fresco. Leggiadro e barone, vive con fervore la vigilia della prima guerra europea che segnerà la fine della «belle epoque». Con una punta dura, da ricordare quella di Visconti, Schaaf ha evocato nelle prime sequenze che si svolgono in un club militare e ci mostrano bagni adamitici e partite di lotta, l’aria di stufa, greve e vagamente pederastica, che avvolge quei baldi militari prossimi a diventare « carne da cannone ».
La guerra del ’14 passa in un baleno, nel giro di due « tradotte »; ed ecco Trotta, reduce dalla prigionia in Russia, brancolare in una patria irriconoscibile, infestata da disoccupazione e miseria. Ritrova la madre baronessa, risoluta a trasformare la sontuosa dimora di “famiglia in una pensione, ritrova gli amici coinvolti nei torbidi sociali del dopoguerra, e più. a comodo rivede la bella Elisabeth con cui aveva contratto matrimonio prima di partire per la guerra, ma non l’aveva consumato, perché la morte, preceduta da lunga agonia, di un fedele domestico aveva frastornato la prima notte di nozze, e la sposa, offesa, se n’era andata. Questo sorso funebre (la morte del domestico) aveva valore di premonizione, simboleggiava la prima crepa d’una fabbrica d’istituzioni, di rituali e di abitudini, minacciata dalle fondamenta. Ora non restano che macerie. La sposa fuggita è diventata mancipio di una conferenziera omosessuale che non la vuole cedere al legittimo consorte: i coniugi si possono vedere solo di nascosto, per fugaci convegni; e quando l’amica ce li coglie, sono scenate. Poi Elisabeth, straordinariamente indurita dalla deviazione sensuale, sembra prendere a noia sia il marito sia Almarin; finché non resta incinta, e allora va a stare in casa Trotta trasformata in pensione, dove la segue l’implacabile saffica, che ha una conferenza con Trotta sui diritti e le prerogative delle « amicizie particolari ».
Ma poi il bambino va a male e le due amiche se ne partono per l’America, lasciando Trotta con la madre impietrita da un coccolone e prossima a calar nella tomba. Degli amici di lui, uno finisce in manicomio; e il vecchio cocchiere di famiglia piange la morte del figlio socialista ucciso dalla repressione poliziesca. Tutto è lutto; e se il protagonista avesse la forza di uccidersi, ne avremmo uno di più; ma quella forza, appunto perché forza, gli manca.
Si sarà capito che il regista ha forse presunto troppo nel voler compendiare nella storia di una famiglia la caduta di un impero. Infatti in Trotta, che pur comincia molto bene, sinfonicamente, c’è troppo romanzo, e nel romanzo hanno troppo posto le due biches, con le loro gelosie, ritrosie e qui anche teoriche; quelle biches che il cinema erotico di consumo ha fatto prendere in tasca anche ai più pazienti.
Inoltre nel nodo centrale del film (il quadro di famiglia, quella pensione dalle risonanze zoliane, con la vecchia paralitica che assiste impotente), il tono di regia non è sempre fine, ha talvolta una grumosità dozzinale. Ma l’ambientazione, nel senso vivo della parola, degli oggetti che piangono la loro storia, è ottima; e l’impressione del fatiscente è complessivamente raggiunta: si che si può avere ancora fiducia in questo inquietante regista, più potente nei muscoli che agile nei polpastrelli. Interpreti: Andras Balint, Doris Kunstmann (un apprezzabile bocconcino) e Rosemarie Fendei (l’amica sparviera).
Leo Pestelli