1977, Michèle Causse e Maryvonne Lapouge – Ecrits, voix d’Italie: Goliarda Sapienza

Michèle Causse e Maryvonne Lapouge, 1977. «Goliarda Sapienza», in Ecrits, voix d’Italie, Paris: Éditions des femmes, pp. 132-145.


Traduzione di Rachele Baglieri per LesWiki.
Ecrits, voix d’Italie – Indice e note

 

Goliarda Sapienza

Goliarda Sapienza è nata a Catania nel 1924. Vive a Roma dal 1942. Figlia di due ferventi anti-fascisti italiani, è in un clima di lotte clandestine e di sofferenze che ha luogo la sua infanzia e soprattutto la sua adolescenza. Ha frequentato corsi d’arte drammatica e ha fatto teatro a Roma dopo la guerra. Smise nel 1952. Ne spiega il perché all’interno dell’intervista. Il primo romanzo di Goliarda Sapienza si intitola “Lettera Aperta”. E’ del secondo romanzo “Il filo di mezzogiorno” che abbiamo un estratto.

Il filo di mezzogiorno è il primo romanzo pubblicato in Italia che spiega un’analisi o, più esattamente, il rapporto che si costruisce poco a poco tra medico e paziente.

La protagonista è “malata” e convinta di essere pazza perché sua madre, un giorno, fu rinchiusa in un manicomio. Attraverso il racconto della paziente al suo medico si ricostruisce cronologicamente un’esistenza: la partenza dalla Sicilia, la sistemazione a Roma in pensioni di terza categoria, i corsi d’arte drammatica, la persecuzione fascista, la “follia” della madre, le difficoltà dei rapporti con l’altro sesso, l’amore per Citto (“Non facemmo la sciocchezza di sposarci ma [p. fine 132] il giuramento di restare insieme fino a quando l’amore ci avrebbe tenuti uniti”). Le pagine più toccanti evocano le amiche d’infanzia, figure mitologiche, esemplari.

Il libro di Goliarda, la sua intervista, mettono in rilievo l’importanza della madre nella sua storia personale. Scrittrice politica, militante, “femminista”, questa madre, rifiutando la femminilità convenzionale dell’inizio del secolo, evitò alla figlia numerose trappole ma la mise in una condizione d’inferiorità di fronte a sé stessa, cosa che si risolse soltanto col tempo. Credendosi brutta, poco piacevole, Goliarda Sapienza – che scrive libri autobiografici e non lo nasconde – riconosce di avere avuto il gusto del sacrificio, paura della pazzia, paura dell’amore (non  lasciandosi andare nemmeno a pronunciare la frase “ti amo„), paura della vita.

Nell’estratto de Il filo di mezzogiorno qui proposto, il medico analizza il sogno della paziente dove appaiono i personaggi chiave della sua storia, la madre, le amiche amate, l’amante. Si vedono sovrapporsi i due tempi del racconto: tempo presente dell’analisi, tempo passato degli eventi accaduti.

La fine del libro è a sorpresa: la malata guarisce, il medico diventa pazzo. Ma bisogna dire che la malata non è mai stata pazza e che il medico non è mai stato sano. [fine p. 133]


 [Estratto da] Le fil de midi, pp. 134-138.

Del lungo brano tratto da Il filo di mezzogiorno, sono state tradotte solo l’inizio e la fine per segnalarne la citazione. Il  libro, pubblicato nel 1969 da Einaudi, è  stato  infatti ripubblicato da La Tartaruga/Baldini&Castoldi, Milano nel 2003.

“…questo paese scavato nella montagna è il ventre di vostra madre così come l’avete percepita nella vostra immaginazione infantile, freddo, coperto di neve, in altre parole un posto privo di calore, inospitale. E questo sogno ci rivela la vera ragione della vostra paura della neve; non è, come mi avete detto, perché siete nata in un paese in cui non nevica mai. Vi siete data questa spiegazione comoda per paura di dovere ammettere che non avevate fiducia in vostra madre, per paura di ammettere che l’affezione che provavate per vostra madre era in realtà un mezzo per cercare di ottenere i suoi favori, per conquistarla. Desideravate che quest’autorità vi considerasse con un occhio indulgente e vi risparmiasse dalle sue ire e dalle sue punizioni. Vedete, signora, l’amore molto spesso è paura mascherata (così come nelle religioni, dove per scongiurare la collera del dio onnipotente, tutti dichiarano di adorarlo).

Questa paura la portate in voi ed è quella che vi spinge ad amare le vostre amiche. Ma, per ritornare al sogno, voi associate la neve alla freddezza ed alla rigidità ideologica di vostra madre. Ricordate quel giorno che mi avete detto “la neve di Maria”? Secondo voi [fine p. 134] questo paese è governato da un esercito di donne anziane. Queste donne anziane rappresentano ancora vostra madre, il vostro super io. Voi dite di appartenere a questo paese, ma ne avete paura e cercate aiuto per spogliare il super io dai simboli della femminilità, che sono del resto la vostra stessa femminilità, rappresentata dallo specchio, dal pettine, dal piumino da cipria, dalla spazzola per capelli. Per liberare il vostro super io chiedete aiuto a Marilou, Eleonora, Bianca, queste donne che, nella realtà, percepite come quelle più dotate di una femminilità autentica, se non mi sbaglio. Bene, loro acconsentono ad accompagnarvi ma non vi raggiungono e cadono a quattro zampe in modo scomposto. Questo, a livello più profondo, significa che malgrado i vostri sforzi reali per provare a somigliare a Marilou, Eleonora, Bianca, basta che queste donne entrino in contatto con vostra madre perché si decompongano. In altre parole, dentro di voi, considerate questa femminilità come una elemento marcio, pieno di vermi. Dove eravamo rimasti? Ah, sì loro cadono e voi continuate la vostra strada da sola. E’ probabile che in tutti questi anni e soprattutto nel corso della vostra relazione con Citto – nel sogno siete in compagnia di Citto che deve andarsene – abbiate cercato di  sfuggire dal super io che vi costringeva a diventare un ragazzo; come da bambina cercavate di estraniarvi con Carlo per diventare un ragazzo, un desiderio fortissimo che vi ha portato a rifiutare le mestruazioni.

[…]

Haya… sorella mia dagli occhi come le ali scure di uccello notturno, Haya, quale maleficio ci tiene lontane? Nica, non ci rivedremo più? [fine p. 138]


[Intervista a] Goliarda Sapienza [p. 139-145]

– Quanti libri hai pubblicato?
– Due libri in venti anni… Il primo ovviamente è esaurito. Il secondo posso regalartelo. Si tratta di un’esperienza analitica… terribile… Tutto quello che scrivo è autobiografico. Nel 1966, nessuno ne voleva sapere, di questo libro. L’argomento non interessava a nessuno… Fortunatamente, attendo sempre un certo periodo prima di pubblicare i miei libri… Ho una moltitudine di storie nei miei cassetti… cinquecento poesie… non ho pubblicato nulla… Aspetto di finire il mio terzo romanzo…

– Sei contraria alla pubblicazione?
– No, ma non bisogna pubblicare subito dopo avere scritto… può essere uno shock… Preferisco proteggermi dal contatto con il pubblico… Quando un libro è terminato mi bastano cinque lettori… non di più… I contatti mi spaventano… Quando ero giovane, recitavo, ero un’attrice… beh, ho smesso di punto in bianco perché non potevo sopportare i brutti testi che recitavo… dopo un po’ mi sentivo come un’operatrice culturale del male.

– L’espressione è carina [fine pag. 139]
– Avevo l’impressione di essere un prete, uno di quelli che detesto, che spargono la cattiva parola, una cultura marcia. In sei anni ho recitato soltanto in due ruoli ideologicamente giustificabili… Queste sono cose che le attrici di solito non rivendicano.

– Sì, sempre di più… Sappiamo che non esiste alcun ruolo femminile che non sia uno stereotipo. Il “nostro” Teatro deve ancora essere scritto.
– Ho scritto due commedie, ma non le ho mai pubblicate… Aspetto, se tra due anni non saranno invecchiate… non bisogna avere fretta… ma alla fine, secondo me, non bisognerebbe farne una legge morale.

– Come scrivi?
– A mano… di getto… fino a dieci volte, se è necessario… e poi ricorro alla macchina da scrivere.

– Quando scrivi?
– Al mattino, col sole, la luce… Quando è nuvolo non riesco a lavorare… e mi fermo al tramonto. Scrivo per tre ore, il resto del tempo leggo, studio… Per scrivere il mio secondo libro, per esempio, ho riletto tutto Freud… I miei libri obbediscono sempre ad un filone ideologico, lo confesso… la storia per la storia non mi interessa.

– Ti capita mai di piangere mentre scrivi?
– A volte sì… nella misura in cui scrivo con il corpo… Inoltre, io non credo nell’anima… appartengo alla quinta generazione di atei… e i laici non possono comunicare alcuna certezza.

– Su cosa scrivi? [fine pag. 140]
– Su quattro fogli… Quattro… è il numero che corrisponde alla mia economia interna… un capitolo breve…

(Goliarda mostra quattro pagine coperte della sua calligrafia molto particolare, il margine di sinistra che va allargandosi verso il basso al punto che solo un terzo del foglio è coperto. Il risultato è visivamente seducente).
– Vorrei scrivere sette volumi su una vita… le contraddizioni di una vita… senza inventare nulla… e parallelamente continuare il lavoro che scrivo da quattro anni… la storia di una donna che nasce all’inizio del secolo e che ottiene tutto quello che vuole. È un romanzo positivo e, perciò, difficile… perché ho voluto dargli un senso politico… non so perché mi sia lanciata in un simile compito… volevo qualcosa d’emblematico… dimostrare che se ci si applica con volontà, si riesce. Questo personaggio femminile è strano, uccide la madre e vuole la vita, in ogni forma.

– Un personaggio vorace?
– Sì, ma appena… a parer mio, occorre volere tutto… tu sei la prima a cui parlo di questo romanzo…

– Cosa pensi della scrittura?
– Che, fortunatamente, è un’attività che la società ha sempre concesso alle donne… Dove le donne sono state tollerate hanno dato il meglio di sè stesse… Pensa alle prostitute, alle regine, alle danzatrici, ecc.! In sé la scrittura non è un’attività rivoluzionaria.

– Dipende dall’uso che se ne fa. [fine pag. 141]
– Una donna chirurgo, che accede ad un settore lavorativo interdetto, è più intrinsecamente rivoluzionaria.

– Deplori la mancanza di un linguaggio femminile?
– Sì… ma sono molto sensibile alla cultura orale, parlata… Non amo il linguaggio che mira all’astrazione… Non mi sento a mio agio nel tipo di discorso maschile… ma le donne commettono spesso l’errore di fare discorsi maschili… ad eccezione delle marxiste…

– ?!
– Sì, ad eccezione delle donne del P.C. [Partito Comunista] che hanno fatto una vera ricerca, le femministe non hanno cultura politica… fanno un femminismo viscerale e tengono discorsi dotti, astratti…

– E’ contraddittorio.
– Fanno un miscuglio… è viscerale ed astratto.

– E le politiche?
– Sono più precise nell’identificazione del potere da abbattere… È chiaro che la cultura è sempre stata un mezzo d’oppressione… ma ci sarà sempre una decina di opere che noi donne potremo salvare: Diderot, Voltaire, Sterne, Cechov … molto vicini a un mondo femminile.

– E le filosofe?
– Meglio lasciar perdere… va tutto rimesso in questione… Freud già lo diceva…

– E le nozioni filosofiche considerate come verità rivelate, la complementarità, ad esempio…
– Da rifiutare, naturalmente… mia madre aveva già [fine pag.142] compreso tutto ciò… infatti  è da là che proviene tutto il mio problema, io ho avuto una madre eccezionale… Fu una delle prime femministe d’Italia… Sindacalista, ha partecipato alla battaglia per ottenere le 14 ore di lavoro al giorno… poi le 12, le 10 e infine le 8… Ha partecipato ai primi scioperi… Si chiamava Maria Giudice… Un Americano è venuto in Italia a fare delle ricerche su mia madre per scrivere un libro.

– Tua madre lavorava?
– Sì, faceva giornalismo… un grande lavoro politico. Poi per venti anni ha dovuto restare in Sicilia, durante il fascismo… E’ stata in prigione per un certo tempo… È una delle Italiane più interessanti del suo tempo.

– Che faceva in Sicilia?
– Leggeva, studiava, si occupava dei suoi bambini – ne aveva sette – ed aiutava mio padre, che aveva uno studio d’avvocato… Sono nata  per ultima… a Catania. Mio padre era siciliano, sindacalista anche lui … Tutti a casa parlavano di politica… io non sono battezzata… non sono mai stato a messa. È un’altra cultura… Capisci, questo è il mio problema, intimamente non comprendo le femministe: le sostengo ma non sento come loro. Ciò che vorrei, è comunicare loro la dimensione politica, la giusta dimensione della lotta.

– Come sono nati gli interessi di tua madre per la politica?
– Nel 1922 c’erano grandi forze politiche [fine pag. 143] in gioco… mia madre veniva da una famiglia socialista… per tutta la vita ha fatto politica… Io l’ho rifiutata… Mia madre era forte, “vitale”, dotata di uno spirito che i dubbi esistenziali non sfioravano… da noi succedeva l’opposto di ciò che capita altrove… Da giovani, le mie sorelle mi leggevano Hegel e mi mettevano in guardia: “Guarda come ragiona questo qua!” e Schopenauer l’ho letto, l’ho amato perché è un poeta, ma ridevo perché la mia educazione mi permetteva anche di vederne il ridicolo.

– È un guadagno di tempo considerevole nascere in una famiglia senza pregiudizi, sufficientemente critica da smontare la misoginia dei filosofi.
– Sì, gli studenti dell’università non hanno sempre questa possibilità… invece è grave che alcune femministe se la prendano con Freud… fortunatamente è uscito il libro di Juliet Mitchell, “psicanalisi e femminismo”… rimette le cose a posto… Non si può fare di Freud un nemico delle donne… io vedo delle esagerazioni che nuocciono al movimento.

– Freud tuttavia ha ammesso alla fine della propria vita che non aveva compreso nulla delle donne. Un’ammissione onesta! È spiacevole che i suoi discepoli lo abbiano “dimenticato”.
– Non sono neppure d’accordo con la lotta che conducono le femministe contro alcuni film che reificano la donna… proprio nel momento in cui si combatte contro la censura, contro tutte le censure… è come dare ragione ai censori cattolici.

– Ma questi film sono indifendibili… benchè molto [p. fine 144] istruttivi: ci fanno vedere tutte le fantasie maschili… e come direbbe E. Banotti, queste fantasie non offendono che loro. Bisognerebbe che le donne avessero la pazienza di considerarli come documentari etnografici rivelatori del disagio del maschio della nostra specie.
– È perché cessino tali film che è necessaria una rivoluzione culturale… combattere le idee con le idee. Le rivoluzioni che ci sono state non avevano alcun obiettivo immediato se non sconfiggere la fame.

– C’è una verità che ti infastidisce in questo mondo?
– Il Cristianesimo.

– E’ una verità?
– Si spaccia per tale… la verità secondo me non esiste… nemmeno la morte è vera.

– In questo caso, quale è il fatto che ti infastidisce di più?
– La vita giorno per giorno… tutto il resto sono soltanto concetti… e i concetti passano di moda … quello che resta, purtroppo, è l’idea del peccato, l’idea della morte… Purtroppo anche il Vaticano è una verità, con il suo potere!

– Quali sono le tue paure ricorrenti?
– Sono paure legate ad eventi precisi… mia madre era pazza… è stata pazza per un certo periodo… alla fine non so esattamente se era pazza… sono io che ho sempre vissuto male quel periodo… ero molto giovane e avevo paura di impazzire… E’ per questo che ho fatto ricorso all’analisi… in realtà probabilmente mia madre non era pazza… [fine p. 145]


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