Marisa Rusconi, 1978. “E tu adesso non far tanto il maschietto”, L’Espresso, anno XXIV, n. 2, 15 gennaio 1978, pp. 26-27.
Cortesia Luca Locati Luciani. Articolo contente una foto di un capodanno gay a Torino e una delle ragazze delle Brigate Saffo a una festa dei circoli proletari nel Ticinese a Milano.
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COSTUME
“E tu adesso non far tanto il maschietto”. Cosi le femministe obiettano al Fuori Donna e simili. Ma le militanti omosessuali non si scoraggiano.
Milano. «Il mio matrimonio andava abbastanza bene. Mio marito non era il solito “sporco maschilista” contro cui si scagliano le femministe. Eppure, la prima volta che ho fatto l’amore con una ragazza, due anni fa, ho capito che fino a allora non avevo saputo niente del mio corpo, della mia sessualità, di come sia importante poter parlare su tutto con una persona che ti capisce. Questa persona non può essere che una donna come te. Mi sono separata da mio marito e, da due anni, vivo con la stessa ragazza. Non immaginavo una felicità cosi totale». Questa l’esperienza, perfino troppo idilliaca, che Patrizia, 25 anni, aspetto molto femminile, lunghi capelli, viso dolcissimo, racconta alla riunione settimanale del Cdo, Collettivo donne omosessuali. L’incontro si svolge, come ogni sabato, in una vecchia casa del centro storico, in via Morigi, a Milano, occupata da alcuni giovani “gay”.
Sediamo in circolo su vecchie poltrone recuperate da un cinema parrocchiale. La stanza è grande e senza riscaldamento; le pareti sono ricoperte da disegni e slogan, di tutti i tipi. Umoristico: “Una donna senza uomo è come un pesce senza bicicletta”. Insinuante: “Scopri la lesbica che è in te”. Minaccioso: “Eterosessuali, è giunta la vostra fine”. Autoincoraggiante: “Basta con la paura: siamo in tante. Infine, un invito al proselitismo: “Due omosessuali non fanno bambini ma possono fare altre omosessuali”.
Chiedo alle ragazze di raccontarmi come e perché sono diventate lesbiche: così l’incontro si trasforma in una seduta di autocoscienza autobiografica. La vicenda di Patrizia, nel suo disegno generale, è comune ad altre donne. A una prima fase di rapporti eterosessuali, non proprio soddisfacenti, anche se possono essersi conclusi nel matrimonio, e talvolta, perfino nella maternità, segue la scelta omosessuale. Tuttavia, le esperienze sono spesso più drammatiche. Claudia, 19 anni: «Un uomo mi ha violentata quando avevo 13 anni, sono stata molto male, mi hanno dovuto ricoverare in una clinica psichiatrica. Ora ho trovato il mio cquilibrio solo nel rapporto con le donne». Alice, 25 anni: «Ho cercato di nascondere la mia condizione di “diversa” ai miei genitori, ma se ne sono accorti e mi hanno mandata da uno psichiatra: miha curato con l’elettrochoc. Poi cercarono di internarmi in un manicomio: non ci riuscirono solo perché nel frattempo ero diventata maggiorenne».
Questo, della costrizione alla clandestinità, in famiglia e fuori, è uno deiproblemi centrali delle lesbiche. «Siamo stufe di nasconderci, però il prezzo per uscire allo scoperto è molto alto». Già, perché la maggior parte sono giovanissime, vanno ancora a scuola o non hanno ancora trovato un lavoro: i genitori con i quali sono costrette a vivere, difficilmente accettano la realtà di una figlia omosessuale. E chi invece un lavoro ce l’ha e abita more uxorio con una compagna? Risponde Carla, 35 anni, insegnante: «Per chi lavora nella scuola sono guai, perché i superiori, spesso, indagano perfino sulla vita privata». Ma anche incerte piccole e medie aziende, dove più facile è il controllo, si pretende una “condotta irreprensibile”, non solo sul posto di lavoro. E vero che sempre più di frequente si incontrano per la strada o in altri luoghi pubblici ragazze che si baciano e amoreggiano tranquillamente, ma rappresentano ancora una minoranza rispetto alle loro compagne che non sanno o non possono sfidare la società. «La morale benpensante fa dell’omosessualità femminile qualcosa di ancora più spregevole di quella maschile», dice una di loro. «La nostra va bene per i giornali e i film porno; serve solo per far eccitare gli uomini. Ma nessuno capisce il nostro reale bisogno di conoscerci, di amarci, il nostro rifiuto dell’autoritarismo e del sadismo psicologico maschile».
E’ anche per trovare nuove forme di lotta contro questa repressione, oltre che per contarsi, che le ragazze del Cdo hanno indetto, di recente, il loro primo convegno nazionale (un altro si svolgerà a Roma, in primavera). Dal convegno è emerso anche il progetto di fondare un comitato di autodifesa legale contro i soprusi della polizia, della famiglia, dei datori di lavoro. eccetera. «Cominceremo col compilare un manuale pratico di self-help», mi spiegano. Intanto stiamo contattando avvocati omosessuali, disposti a difenderci gratuitamente o a collaborare». Ma, nonostante queste iniziative, la volontà di restare un gruppo spontaneo fa del Cdo un collettivo politicamente non organizzato, in molti casi anche ideologicamente confuso. Certo. un po’ isolato rispetto allo scenario politico del “movimento”. Fondato nel 76, a Milano, da una piccola schiera di lesbiche che si staccarono dal Fuori Donna per non federarsi al partito radicale, il Cdo raccolse in seguito anche ragazze provenienti da vai gruppi della nuova sinistra, deluse dal loro modo di fare politica, oppure “cani sciolti”. Alcune oggi si dichiarano anarchiche. Una minoranza non nasconde le sue simpatie per l’Autonomia operaia. «Non mi riconosco in nessun partito né gruppo perché nessuno è rivoluzionario», afferma invece Manuela, che parla anche a nome di altre compagne. «Dentro qualsiasi organizzazione, anche sedicente di ultrasinistra, si ripetono gli stessi meccanismi di sfruttamento della donna. Sai cosa mi dicevano i maschi quando ero impegnala come militante? “Tu non fare tanto la lesbica: se i ‘fighi’ della cellula ti facessero un po’ di corte, allargheresti le gambe ben volentieri”».
Come mai anche i rapporli con le femministe non sono molto buoni? «Perché anche quelle che praticano l’omosessualità ribadiscono di essere innanzitutlo femministe e in secondo luogo omosessuali, accusandoci del contrario. Ci accusano anche di maschilismo, affermando che riproponiamo la coppia dello schema uomo-donna. Non è giusto».
Intanto anche a Torino, dove pure il Fuori Donna è ancora molto forte (a Milano, invece, si è praticamente sfasciato), è nato un nuovo collettivo di lesbiche: le “Brigate Saffo”. Si riconoscono, più o meno, nei gruppi della nuova sinistra, ma vogliono avere iniziative indipendenti. Hanno inventato la tecnica da loro baltezzata “Mordi e fuggi”: veloci, pazze incursioni per le strade, che hanno soprattutto lo scopo di provocare i passanti. Gestiscono una trasmissione a “Radio città futura in cui l’omosessualità è vista soprattutto dal lato creativo: cinema, teatro, poesia, eccetera. Preparano uno spettacolo insieme al gruppo teatrale “Le Gaie”, del Cdo, che a Milano, pochi mesi fa, ha già rappresentato la pièce “Io sono lesbica e tu?”.
MARISA RUSCONI
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