Teresa de Lauretis, 1996. “Figlie prodighe”. DWF, n. 30/31, pp. 80-90.
Pubblicato da Fuorispazio.net nel 2002 in occasione della morte di Alice Ceresa (Basilea, 23 gennaio 1923 – Roma, 21 dicembre 2001) e ancora reperibile allo https://web.archive.org/web/20060603174251/http://www.fuorispazio.net/def_archive_pageshow.php?direktorijum=Gennaio,Febbraio,Marzo,Aprile,Maggio,Giugno,Luglio,Agosto,Settembre_2002&fajl=figlieprodighe.html
Tanto per incominciare, benche’ la storia della figlia prodiga non sia nota, non essendo essa mai finora stata raccontata, non vi e’ al mondo chi non sappia che cosa una figlia prodiga sia.
Cio’ deriva da una parte dal fatto che noi disponiamo di una notissima storia del figliol prodigo alla quale se non altro per associazione di idee potrebbe andare avvicinata o venire identificata: e dall’altra dalla circostanza che a questo mondo, ormai, noi siamo abituati a tutto e il dover pensare che vi possa esistere anche qualcosa come una figlia prodiga non solo non stupisce ma appare addirittura come scontato.
Essendovi infatti stato un figliol prodigo, non si vede a prima vista perche’ non dovrebbe esservi pure una figlia prodiga e, procedendo nel ragionamento, poiche’ effettivamente la prodigalita’ esiste, non si vede a guardarci meglio perche’ dovrebbe subire limitazioni per il semplice fatto che il protagonista che se ne rende responsabile appartenga a questo piuttosto che a quell’altro sesso.
Piu’ addentro ancora non si trova nulla da obiettare all’idea che in definitiva la storia conosciuta sia piu’ una storia di prodigalita’ che non appunto una storia di sesso (pp.7-8)
Cio’ nonostante, come gia’ si capisce, la storia della figlia prodiga, ovvero la sua ” prodigalita’ ” qualcosa a che fare col sesso e la differenza sessuale ce l’ha. Il testo continua:
… per poco o molto che noi ne possiamo sapere sia per associazione di idee, sia per approssimazione, sia per antica e moderna sapienza del mondo, una figlia prodiga non puo’ solo essere la trascrizione grammaticale in termini femminili del suo omonimo maschile.
Vediamo male, quando solo tentassimo di vederla, la figlia prodiga ricalcare le orme del fratello lungo le vicende di quest’ultimo non fosse che perche’ quand’anche questa possibilita’ esistesse o fosse esistita la stessa storia non avrebbe dato lo stesso personaggio.
Si vedono male le figlie sperperare patrimoni paterni, precipitare nella desolazione una casa per via della loro defezione e riguadagnare infine il posto d’onore nella famiglia previamente abbandonata per il semplice fatto di avervi fatto ritorno.
Non con questo si vuole insinuare che esista una differenza nel trattamento che le famiglie riservano ai figli di questo o di quell’altro sesso.
Molto piu’ semplicemente e funzionalmente nell’ambito della nostra storia si vuole mettere in evidenza che a questo mondo, indubbiamente, oltre che figli e figlie esistano prodigalita’ e prodigalita’…..
Ma prima ancora delle vicende, come la mettiamo con il personaggio?
Di lui, necessariamente, ci sono note le caratteristiche che ne fanno, anziche’ una figlia qualunque, una figlia prodiga: il che, procedendo per eliminazione come saggio e’ sempre procedere quando non si disponga di elementi per fare diversamente, esclude per la figlia prodiga almeno la qualita’ dell’obbedienza.
E quando si considerino le conseguenze varie e nefaste che la disobbedienza porta inevitabilmente con se’, soprattutto per le figlie, si ha gia’ una vaga ma quanto vasta visione di quel che una figlia prodiga piu’ che essere potrebbe essere. E quando si aggiungano, a semplice titolo di elencazione, i vizi che ne decorrono a seconda dell’estensione che la disubbidienza assume, ci troviamo ad usare termini quali liberta’ di usi e di costumi e di coscienza e di scelta e di vita.
Per cui vediamo fin da ora che una prodigalita’ applicata a beni di questo genere anche se si riduce in qualche modo, fosse anche solo moralmente, ad essere sperpero di patrimoni paterni e materni, puo’ di gran lunga superare la gravita’ dello sperpero ben noto dei beni materiali effettuato dall’omonimo fratello.
Ragione per cui almeno un motivo potrebbe esistere per raccontare questa storia, e cioe’ il motivo di raccontarla diversamente (pp.10-12)
Ne ho citato un lungo brano per dare un’idea del tono ironico e ironicamente obiettivo o pseudo-scientifico, e dello stile: convoluto, ipotattico, “accademico”, ma allo stesso tempo punteggiato da frasi fatte e circonlocuzioni del linguaggio comune, e segnato da una forma grafica che, separando le proposizioni secondo le scadenze del parlato, da’ alla sua prosa l’aspetto visivo di uno spartito verbale. Ed e’ probabilmente anche per queste sue qualita’ formali che “La figlia prodiga” vinse l’ambito premio “Viareggio Opera Prima” (il secondo romanzo “Bambine” esce da Einaudi nel 1990; un racconto “La morte del padre”, e’ apparso su “Nuovi Argomenti n. 62 aprile-maggio 1979).
Ma per avere un’idea del testo nella sua progettualita’ (come si diceva allora), e’ bene inquadrarlo nel clima culturale e nel dibattito critico-letterario di quella seconda meta’ degli anni Sessanta, il dibattito su strutturalismo e marxismo, psicanalisi, neoavanguardia e sperimentalismo degli anni immediatamente precedenti ai due grandi fatti del ’68 e post-’68, ossia il movimento studentesco e il movimento delle donne.
La concezione dell’attivita’ critico-letteraria come progetto culturale, non tanto riflesso della realta’ sociale data quanto intervento creativo, invenzione linguistica o semiotica, e quindi creazione culturale, creazione di simbolico, e’ segnalata in molti testi critici di quel periodo.
Si vedano ad esempio due saggi di quello stesso anno 1967, entrambi pubblicati da Einaudi: “Letteratura come sistema e come funzione” di Guido Guglielmi e il saggio di Italo Calvino, “Progettazione letteratura”, apparso sul numero 10 del “Menabo’ “dedicato a Vittorini poco dopo la sua morte .
(A questi se ne potrebbero aggiungere altri come “Opera aperta” di Umberto Eco, Bompiani, Milano ,1962, e “Il linguaggio come lavoro e come mercato”, di Ferruccio Rossi-Landi, Bompiani, Milano, 1968).
(E detto per inciso, non a caso,alcuni capitoli de “La figlia prodiga” di Ceresa erano apparsi sul “Menabo’ ” numero 8, per invito degli stessi redattori, Vittorini e Calvino). Scrive Guglielmi:
All’origine della narrativa di Camus non sta una rivelazione di realta’, bensi’ un problema intellettuale…
L’assurdo si precisa come un rapporto istituito nella coscienza, tra l’aspirazione dell’uomo alla razionalita’, e la non-trasparenza, l’inintelligibilita’ e caos del mondo (p.75)
Anche il problema intellettuale posto da Ceresa contiene un assurdo, o meglio un paradosso alla doppia potenza: quello di un “essere umano” (non dice “la donna”) che puo’ divenire soggetto solo nei termini di un contratto sociale e di un ordine simbolico che lo definiscono come oggetto di scambio, figlia; ma che pero’, essendo prodiga, figlia non e’ piu’. Poiche’ se da un lato le condizioni di esistenza della figlia prodiga, come pure quelle della sua storia e quindi le condizioni di possibilita’ del raccontarla, sono in primo luogo la “sua appartenenza al genere femminile”, e in secondo luogo “la presenza di una famiglia”, d’altro canto pero’, precisa Ceresa,
“l’ordine delle famiglie…non prevede le figlie prodighe. Non tanto perche’ infatti non e ‘mai stato invogliato a codificarle in una storia .. quanto piu’ sottilmente perche’ /non appena sono prodighe/ le considera figlie degeneri o figlie sbagliate [cosicche’] divenendo prodighe esse non corrispondono piu’ e in alcun modo/ alla qualifica di figlie” (pp. 20.21).
Insomma, le figlie prodighe sono un controsenso: il soggetto figlia prodiga non esiste come oggetto di scambio e, pertanto, non esiste neanche come soggetto.
Scrive Calvino a proposito di Vittorini:
Tutto il suo lavoro -creativo, critico, editoriale- ha intenzione e funzione di programma [:] il suo dato di partenza e’ l’esperienza letteraria del presente, la scoperta di quello che si va scrivendo, le tendenze che vanno affiorando, il bisogno di scrivere in un certo modo certe cose…
Si tratta di un progetto sempre in corso di precisazione, e, prima che progetto, raccolta di materiali per un progetto (p.73)
Il progetto de La figlia prodiga si potrebbe riassumere come una raccolta di materiali teorici o metanarrativi ai fini di indagare sulle condizioni di rappresentabilita’ di un personaggio, di un “essere umano divenuto” (ossia delle potenzialita’ umane materialmente utilizzate in un individuo in un particolare contesto storico e sociale) – un personaggio e un “essere umano” per il quale non si da’ rappresentazione sociale, di indagare quindi sulle modalita’ di una sua possibile rappresentazione, vale a dire sulla possibilita’ di raccontare la storia di un soggetto storicamente non descritto e indescrivibile, diciamo un non-soggetto sociale.
Il metaromanzo di Ceresa e’ la storia di questa indagine. Tra filosofia semiotica e metanarrativa.
Progetto oggettivo, dunque, che parte dal simbolico -dal discorso narrativo, letterario, sociale – per approdare a un eventuale progetto soggettivo, di presa di coscienza individuale, auto-analisi, auto-coscienza o auto-rappresentazione, le quali però rimangono da fare. Ed e’ questo, il testo conclude,
“un lavoro che caso mai alla sola figlia prodiga, se a qualcuno rimanesse, rimarrebbe / ed evidentemente rimane benche’ al di fuori dei libri da fare” (p.213)
Ma quali sono i materiali teorici e narrativi raccolti da Ceresa? Sono un insieme di riflessioni sulla scrittura come fatto letterario e rappresentazione del mondo, sul rapporto tra chi scrive e chi legge (la parola autore non compare, tanto meno autrice), tra scrittura e personaggio (con risonanze pirandelliane) e tra un personaggio e lettore/lettrice; sono meditazioni sull’incommensurabilita’ del tempo delle storie con il tempo del vissuto, sulla distanza tra le parole e le cose, il peso del non detto e le scelte operate nel raccontare, la letteratura e la vita.
Da queste riflessioni sulle modalità semiotiche della rappresentazione letteraria, il testo passa a interrogarsi sulle condizioni di rappresentabilita’ del soggetto, o meglio del non-soggetto figlia prodiga, mettendone a fuoco le caratteristiche specifiche in rapporto al sistema simbolico che la definisce in quanto tale: in primo luogo la famiglia (quella “per altri aspetti così corretta e lodevole istituzione” [p.24], dice argutamente Ceresa) e successivamente “la deviazione della figlia prodiga dall’ appartenenza alla famiglia in una sua piu’ privata e segreta appartenenza a se stessa”(p.58)
(Al tema “Appartenenza” la rivista di studi femminili “DWF/Donnawomanfemme” dedichera’ un numero speciale nel 1987, venti anni dopo la pubblicazione de “La figlia prodiga”. In questo numero, quasi riprendesse la frase di Ceresa da un punto di vista reso possibile da venti anni di lotta politica, Simonetta Spinelli scrive :
“Approfondire un’analisi sulla realta’ del lesbismo significa scavare, inevitabilmente, in una storia tutta intima e renderla esplicita, abbandonando la ricerca di un sapersi che, proprio del lasciar tutto implicito , aveva fatto una strategia…
Storicizzare un percorso, individuale e collettivo, significa oggi ridefinire un’appartenenza in termini di ‘appartenenza a se'” (Il silenzio e’ perdita, ” DWF” n.4, 1987, pp. 49 e 52).
Fin dall’infanzia pare che “la bambina figlia prodiga” rivelasse “una primissima autonomia di pensiero” (p.56), che “fosse fin da sempre una bambina particolare e diversa” (p.62), “di una rara protervia” (p.57), provocando nei genitori “una sensazione di malessere, che noi quasi chiameremmo premonizione” (p.54), scrive Ceresa forse memore del celebre personaggio di “The Well of Loneliness” di Radclyffe Hall, quella Stephen Gordon che Ester Newton ha reso ancor piu’ celebre con l’appellativo “The Mythic Mannish Lesbian”.
Anche per la nostra figlia prodiga la premonizione viene confermata “quando i genitori poterono man mano ricostruire che la loro figlia, che essi credevano fosse appunto una loro normale, comune e generale figlia … era per contro una tutt’altra / sfuggente / e per nulla ovvia / ne’ a loro appartenente/ e con loro identificabile/cosa”; ed essi si videro costretti a “considerare la loro figlia una figlia particolare e non sottoponibile alle regole delle figlie in generale” (p. 60).
Ceresa ha pagine taglienti sulla famiglia come istituzione “la cui funzione, si sa, e’ quella di perpetuare nello stesso ordine e in eterno appunto le famiglie” (p.42)
(Per esempio: “[A noi che]non siamo mai diventati prodighi [non sembra un disastro] il fatto che figli si nasca uguali a uno o all’altro degli ingredienti a tale scopo mescolati.
Dopotutto le cose accadono cosi’ affinche’, muniti della dovuta perfezione organica, siano sempre disponibili nuovi capostipiti per la formazione di nuove famiglie sempre a nuovo impegnate nella fornitura di susseguenti capostipiti.
Il che significa evidentemente che sia del tutto comprensibile e anzi indispensabile che gli uni figli siano del sesso dei padri che diventeranno e le altre figlie siano quello delle madri che sono destinate ad essere […]
Dopotutto la mancata assunzione di funzioni, sia pure determiante dalle famiglie, relative alla propagazione della specie/interessa caso mai la specie/ ma non si vede come dovrebbe o potrebbe interessare la famiglia, visto che questa risulta ogni volta a nuovo / ed e’ limitata di volta in volta a una sola generazione” (pp.42-43).)
La sua analisi puntuale, lucida e priva di sentimentalismi anticipa da almeno dieci anni la critica femminista della famiglia quale struttura portante dell’istituzione eterosessuale, soprattutto nei confronti delle donne.
Basti pensare all’influente saggio di Adrienne Rich, Compulsory Heterosexuality Existence del 1980, che definisce la “prodigalita'” (per dirla con Ceresa) come “resistenza al matrimonio”; o al rifiuto incondizionato del contratto sociale eterosessuale riassunto nella frase assiomatica di Monique Wittig, “Lesbians are not women””, che nei termini di Ceresa equivale esattamente a “le figlie prodighe non sono figlie”.( Adrienne Rich, citato, trad. di Maria Luisa Moretti, Eterossessualita’ obbligatoria ed esistenza lesbica, “Nuova DWF/donna womanfemme”, n.23/24, 1985, pp.5-40. Monique Wittig, The straight Mind [1980], tard .it. di Rosanna Fiocchetto, The Stright Mind, Bollettino del CLI (Roma, febbraio, 1990) ).
Nell’area italiana, nonostante la recente produzione teorica del pensiero della differenza sessuale, non sono a conoscenza che di un testo, di venti anni posteriore a “La figlia prodiga”, che articoli una critica femminista dell’istituzione eterosessuale, ed e’ L’amante celeste di Rosanna Fiocchetto.
(citato, Estro Editrice, Firenze 1987. Di Fiocchetto si vedano anche le recensioni del libri di Ceresa sul Bollettino del CLI -Roma, maggio 1990).
“Il senso comune direbbe/che figlie prodighe non si nasce ma si diventa”, continua Ceresa nel capitoletto che s’intitola “Della prodigalita'”, ed e’ ovvio il richiamo a de Beauvoir e forse, chissa’, anche a Freud che, dopo tutto, aveva detto precisamente questo.
Tuttavia la storia di questa figlia prodiga “particolare e straordinaria e diversa” (p.67) fin dalla piu’ tenera eta’ sembra contraddire il “senso comune” (nonche’ la psicanalisi) perche’ -e qui sta l’eccentricita’ della “bambina figlia prodiga”- non risulta che ella “rimanesse minimamente contagiata dall’inevitabile legame affettivo” (p.83) tra bambini e genitori; pare insomma che fosse priva di “istinto filiale”.
Eppure “la figlia prodiga non diede mai segno di follia” ne’ e’ “possibile ritenere le sue stranezze frutto di una deficienza della natura” (p.68), dice Ceresa ammicando, per chi lo vuol capire, alle teorie allora vigenti sull’omosessualita’ come devianza congenita; teorie che, per il vero, Freud stesso smantello’, senza peraltro che questo ne alterasse di tanto la divulgazione.
Ceresa non accetta Freud, non accetta soprattutto il concetto freudiano dell’inconscio, e insiste che la primissima infanzia, sia la nostra che quella degli altri, “ci rimane sconosciuta malgrado la psicoanalisi” (p.64): “Sempre gli anni della nostra incoscienza sono e rimangono disabitati…perche’ ove manca la coscienza, l’individuo in quanto tale non e’ nemmeno mai esistito” (p.75)
Questo rifiuto della psicoanalisi non puo’ certo stupirci se pensiamo alla cultura italiana del dopoguerra, e in particolare di quegli anni, divisa tra un cattolicesimo e un materialismo storico caratterizzati dalla quasi totale inconoscenza dell’opera di Freud o dal rifiuto della sua metapsicologia.
Anche in Francia -e molto piu’ lentamente, piu’ difficilmente in Italia- e’ solo dal ’68 in poi che la psicoanalisi viene ad assumere un ruolo centrale nel pensiero filosofico e letterario.
A maggior ragione non stupisce questo rifiuto da parte di una scrittrice figlia prodiga a cui la spiegazione psicoanalitica delle differenze sessuali non poteva che apparire riduttiva e basata su una concezione della sessualita’ strettamente eterosessuale.
Tale appare a molte ancora oggi, nonostante venti anni di rilettura/riscrittura femminista, semiotica e anti-umanistica dei testi di Freud, in virtu’ delle quali la nozione di sessualita’ si e’ estesa e arricchita di molteplici valenze culturali e politiche.
(Io stessa, per esempio, ho rilevato nei testi di Freud una teoria sessuale in negativo, ossia vi ho letto in controluce la traccia di una sessualita’ fondamentalmente perversa: una concezione che contrasta con quella positiva, prescrittivi ed eteronormativa di una sessualita’ finalizzata alla riproduzione, che si e’ soliti far risalire a Freud. Da tale lettura in controluce ho tratto spunto per articolare il percorso di un desiderio perverso e, cosa che Freud stesso non era in grado di concepire, il costituirsi di una sessualita’ e una soggettivita’ lesbiche.
Si veda “The practice if Love: lesbian Sexuality and perverse Desire”,Indiana University Press, Bloomington 1994, versione italiana dal titolo “Pratica d’amore”, La Tartaruga Edizioni, Milano).
Figlia non prodiga, in questo, della cultura di quegli anni Sessanta, Ceresa, dunque, rifiuta Freud .
Il suo progetto di scrittura non cerca di spiegare o analizzare la “prodigalita'” femminile ma piuttosto di testimoniarla, documentarla, descriverla nei suoi aspetti strutturali e esistenziali, in rapporto ai codici e alle istituzioni in cui storicamente si manifesta. E cosi’, oltre a una “forma pronunciata di asocialita'” che si manifesta nel suo “rifiuto della societa’ e delle sue abitudini”, “nella continuativa e pertinace…azione di scontro e di ribellione” contro la famiglia e “contro ogni certezza ed organizzazione del genere umano” (p.185) e per una “ricercatezza” (p.179) che la fa apparire come “una persona trincerata dietro un sistema assunto a rappresentanza di se stessa”, “un sistema eretto a personalita'” (p.180).
Questa personalita’ e’ costruita sulla duplicita’ e sulla dissimulazione, ovvero “l’apparire solo per parte o per meta’ di quel che si sia veramente” (p.114): “La figlia prodiga, infatti, se fu una persona dissimulata, fu senz’altro una persona che aveva una o addirittura varie e svariate cose da nascondere; questo ci elimina fin da ora la possibilita’ che fosse una persona tranquilla e onesta” (p.112).
E appunto tale capacità di dissimulare, di cui ella “dette infatti ampia prova vita natural durante”, spiega perché riuscisse “tanto agevolmente a passare (il corsivo e’ mio), per così dire, pur figlia prodiga essendo, inosservata e impunita” (p.104).
Mi si consenta qui di sottolineare la parola “passare” che, almeno nella sua forma angloamericana “passing”, non può non evocare, per l’odierna lettrice figlia prodiga, tutta una serie di ricerche contemporanee sulla “prodigalita'”, ovvero l’omosessualita’, femminile nei suoi diversi modi di sopravvivenza o di esistenza sociale.
Quasi a conferma di questa mia lettura, alcune pagine più avanti si incontrano le seguenti parole:
Se dunque la figlia prodiga risultava essere dissimulata, e non si vedeva facilmente e a prima vista che fosse una figlia prodiga, cio’ era dovuto semplicemente al fatto che la sua prodigalita’ rimaneva a ragion veduta nascosta; e questo niente affatto per via di metafisiche circostanze o per una particolarita’ della prodigalita’ stessa, destinata magari benche’ non si saprebbe perche’ ad essere per sua natura inafferrabile; ma molto di piu’ semplicemente perche’ veniva dissimulata. Quando infatti noi una cosa non la vediamo pur sapendo che essa esi- ste, cio’ puo’ risiedere in una particolarita’ di questa cosa, che sarebbe dunque la sua invisibilita’ congenita; ma puo’ anche risiedere nel fatto che tale cosa ci viene a bella posta nascosta e solo percio’ che ci risulta praticamente invisibile (pp. 107-108).
Per concludere – anche se ci sarebbe ancora molto da dire – vorrei far notare come l’osservazione finale dell’autrice ci fornisce una chiave (metanarrativa) di lettura: “giunti alla fine della nostra storia e al principio della sua, non è detto che anch’essa [la storia della figlia prodiga] non sia stata digia’ / magari all’inverso, o per negazione, o per l’esclusione / raccontata” (p.213).
Ossia la storia del personaggio qui raccontata e’ una storia all’inverso, in negativo, in controluce; e’ la storia di cio’ che in una storia in positivo non sarebbe rappresentabile, in quanto i codici di rappresentazione elaborati dalla cultura egemonica non contemplano, non ammettono -e quindi non permettono di rappresentare in positivo- la particolare “prodigalita'” di una figlia prodiga.
Esistono pero’ altri testi impegnati in un simile progetto di scrittura, e cioe’ la rappresentazione di una “prodigalita'” femminilie eccentrica e straordinaria.
Per esempio l’Orlando di Virginia Woolf, la cui strategia narrativa e metanarrativa verte sul genere: sia il genere letterario, la biografia, che il genere sessuale o gender, giocando sull’androginia del personaggio Orlando che prima e’ uomo e poi donna.
Anche questo/questa Orlando, di cui Woolf ci offre la pseudo-biografia, e’ personaggio squisitamente letterario: non solo non e’ una persona reale, come non lo e’ mai nessun personaggio, ma nemmeno potrebbe mai esserlo stato poiche’ la sua vita abbraccia un periodo di oltre quattro secoli, dall’eta’ di Shakespeare al tempo della scrittura del romanzo nel 1928.
Cio’ nonostante non possiamo ignorare che il personaggio di Orlando, soggetto eccentrico ed eccellente, e’ esplicitamente basato sulla scrittrice Vita Sackwille-West, amata da Woolf, e le cui fotografie corredano il romanzo che pertanto e’ stato giustamente definito la piu’ lunga lettera d’amore scritta in lingua inglese.
Anche Orlando, come la figlia prodiga, e’ una figura, un traslato narrativo, la rappresentazione in controluce di una ” prodigalita’ ” o una soggettivita’ che eccede l’appartenenza alla famiglia e all’istituzione eterosessuale; e per la quale solo la scrittura, intesa come creazione di simbolico, puo’ investigare e contemporaneamente produrre le condizioni di rappresentabilita’ sociale.
E quindi anche di autorappresentazione.
Su Ceresa vedi anche:
Adriana Perrotta Rabissi > http://www.overleft.it/index.php?option=com_content&view=article&id=94:le-bambine-di-alice-ceresa&catid=39:dopo-il-diluvio-discorsi-su-letteratura-e-arti&Itemid=134
Rosanna Fiocchetto > https://www.culturagay.it/biografia/202