Maria Cristina Gramolini, 2000. “Arcilesbica perchè”, in: Massimo Consoli, Independence gay. Alle origini del gay pride. Bolsena: Massari, pp.
C’era una volta
La presenza politica lesbica in Italia si è manifestata negli anni Settanta con qualche significativo caso nel FUORI e poi soprattutto all’interno dei collettivi femministi, come quello romano di via Pompeo Magno. Solo nei primi Ottanta sono nati, ancora una volta a Roma, i gruppi lesbofemministi separatisti (dai maschi), quali Identità Lesbica e poi il CLI, Collegamento fra Lesbiche Italiane. Disertato il movimento gay, le lesbiche si sono messe insieme e sono fioriti i convegni, le pubblicazioni, le vacanze e i bollettini. Nel 1991 si arrivò alla Prima Settimana Lesbica che richiamò in una villa poco fuori Bologna un migliaio di donne. Negli anni successivi tuttavia il lesbofemminismo entrò in crisi: la formula dei collettivi aveva funzionato per creare luoghi di elaborazione e di aggregazione ma, con il riflusso del movimento delle donne, i gruppi lesbici avevano finito per diventare realtà marginali rispetto alla comunicazione sociale. Si era persa la presa sul mondo, più che separatiste si era separate, parallele, e non si sapeva interagire con la società: il problema irrisolto era la visibilità. La visibilità personale era quasi un limite invalicabile per le lesbiche: ad esempio spesso si scriveva sotto pseudonimo o sulle pubblicazioni apparivano solo nomi di battesimo, si rifuggiva la stampa, i fotografi. Che questa offerta fosse diventata inadeguata è dimostrato anche dal fatto che negli anni Novanta le giovani lesbiche non si avvicinavano più ai collettivi separatisti ma preferivano aderire al movimento gay, di cui apprezzavano proprio la visibilità, dalla quale si sentivano sfidate a prendere in mano la loro situazione. Del resto Graziella Bertozzo aveva coordinato Arcigay-Donna e poi era diventata segretaria dell’Arcigay-Arcilesbica e aveva indicato a tutte la possibilità di essere pubbliche.
Nel ’94 la risoluzione di Strasburgo, per un verso, e la vittoria delle destre, per l’altro, produssero una spinta decisiva: le destre ci minacciavano, il clericalismo era di ritorno, era il momento di lottare, occorreva fare un salto di qualità, diventare maggiorenni, prendere la parola, non avere paura di mostrarsi; del resto se lo facevano i gay a noi cosa mancava? Quell’anno in tante ci trovammo al gay pride di Roma: era bellissimo stare davanti a tutti, era indimenticabile. Ripensavo a uno slogan “poiché la paura è una forma di morte, non avrò più paura”. Nel maggio ’96 fu fatto un tentativo di saldare le due generazioni di lesbiche, le storiche e le non-separatiste, con la Seconda Settimana Lesbica che riunì tutto il movimento e diede un ulteriore sprone alla nascita di un soggetto lesbico nazionale: uno dei dibattiti di quell’iniziativa si intitolava “La politica efficace. Pensando a un’organizzazione delle donne e delle lesbiche”. Sentivamo che stava accadendo qualcosa di nuovo, i gruppi storici consegnarono alle giovani la critica e loro ci misero il coraggio di esporsi.
Perché solo donne: agire contro il neutro maschile
Arcilesbica è stata fondata nel dicembre 1996. La scelta fu determinata dalla decisione, adottata come risposta alle pressioni interne delle lesbiche, dell’allora unitaria Arcigay-Arcilesbica di proseguire come federazione di due associazioni distinte. In realtà era ormai matura la costruzione di una associazione politica nazionale delle lesbiche. Chiaramente non tutte le protagoniste di quel momento furono anche le fondatrici di Arcilesbica: qualcuna restò a guardare, perché non era pronta, o non era convinta, ma l’occasione non poteva aspettare e andammo.
“Arcilesbica nasce quando si prefigura in modo sempre più ineluttabile l’esigenza di agire politicamente entro uno spazio autonomo, visibilmente lesbico, fuori dalle maglie di una politica gay spesso troppo neutra (sappiamo bene che neutro equivale a maschile) ma allo stesso tempo fuori dal pensiero separatista, che abbiamo considerato da superare. L’urgenza che ci ha mosso è stata quella di costruire un’organizzazione che divenisse strumento per intervenire concretamente nella vita politica e sociale italiana, per neutralizzare ogni tentativo di discriminazione nei nostri confronti, per opporci al pregiudizio diffuso, per ottenere giustizia. Uno strumento radicato sul territorio, in grado di aggregare quante più lesbiche, al nord e al sud, ma anche di dialogare e contrattare con le istituzioni centrali e locali. Stanno dunque alla base della nostra scelta l’affermazione del principio di autodeterminazione e la volontà di rappresentare il lesbismo nella società di oggi”, si legge in un documento dell’associazione. Titti De Simone, venticinquenne siciliana, era il motore: voleva fortemente che le lesbiche italiane si dessero una rappresentanza, che uscissero allo scoperto collettivamente. Sapeva infondere un senso di possibilità, era preparata e soprattutto aveva risolto il problema della visibilità. Arcilesbica rappresenta un tentativo a cui hanno contribuito numerosissime lesbiche, in ogni parte d’Italia: aspiravamo a qualcosa di più dell’attività locale, volevamo agire pubblicamente. Consideravamo che l’afasia delle lesbiche fosse una forma di sottosviluppo e ci sentivamo in grado di fare di più. Ci sentivamo il nuovo delle donne. Infatti Arcilesbica è un’associazione di giovani, dove l’età media delle militanti è intorno ai trent’anni. Per smentire la frammentazione che fino ad allora aveva caratterizzato l’agire delle lesbiche italiane, abbiamo insistito sul valore di una politica nazionale: i gruppi delle diverse città stanno fra loro in un rapporto permanente e coordinato.
Abbiamo scelto di essere un’associazione di sole donne ma non ci definiamo separatiste perché il separatismo è una pratica che si è connotata, oltre che per l’esclusività femminile, per l’astensione dalla scena pubblica, l’estraneità alla rivendicazione di diritti, per una certa indifferenza nei confronti della politica, considerata in blocco maschile e quindi negativa. Arcilesbica invece nasce per fare spazio pubblico all’esistenza libera delle lesbiche, si batte per la conquista di diritti certi e sceglie di collocarsi a sinistra contro ogni indifferentismo o trasversalismo; alle nostre iniziative sono ammessi tutti, stabiliamo rapporti politici con gruppi gay o anche eterosessuali, quando si danno questioni di comune riguardo. Ma l’associazione è composta di sole donne e questo all’inizio non è piaciuto, non è stato capito da tanti. Perché solo donne? Perché dividere il movimento omosessuale? Perché qualunque soggetto collettivo maturo ha bisogno di agire in modo autonomo.
Chiedere a una minoranza di non autorganizzarsi è volerla lasciare muta e inconsapevole. Chi propone a una minoranza oppressa e cancellata (si pensi agli stranieri) di non organizzarsi, o non ha capito le dinamiche della liberazione o è avversario dell’emancipazione di quella minoranza. A noi è accaduto ciò che era già capitato alle donne della sinistra che abbandonarono i loro gruppi per il femminismo: furono accusate di dividere le lotte, di ostinarsi su differenze marginali. Ma la loro scelta aprì un campo critico e politico prima bloccato sul versante del sessismo. Anche gli eterosessuali che si credono illuminati ripetono che i gay non dovrebbero costituire i loro gruppi, locali, associazioni, perché così si ghettizzano. E quanti altri hanno dovuto rispondere all’idiozia del razzismo al contrario. Ma i gay sanno che se non si fossero organizzati, non avrebbero avuto dagli eterosessuali, nemmeno dai più impegnati, lo spazio per esistere pienamente. Ecco per noi è la stessa cosa: fino a che siamo state disperse nel movimento gay, nel femminismo, nei movimenti alternativi, non siamo riuscite a porre al centro il lesbismo.
Non si riesce a contraddire il destino eterosessuale delle donne se non dichiarandosi lesbiche, cioè portando il lesbismo sul piano politico, fuori dalla dimensione puramente privata. Per un singolare fenomeno ottico-politico, dove ci sono uomini e donne, l’osservatore vede solo uomini: anni e anni di militanza con gli uomini non erano serviti a far vedere che esistevano le lesbiche oltre che i gay. Dovevamo fare da sole allora ci avrebbero viste. Arcilesbica si è voluta un soggetto politico femminile, e nonostante l’emergere della cultura transgender, non intendiamo abbandonare tale caratteristica per regredire alla politica mista, perché resta vero che qualunque movimento di liberazione mette al centro i soggetti che intende liberare. Ammettere che la femminilità e la virilità siano costruzioni culturali storiche, non elimina la differente collocazione di maschi e femmine nelle gerarchie sociali. Denunciare l’invenzione dei sessi, cioè dichiarare che uomini e donne sono finzioni, non elimina il dominio che gli uomini esercitano sulle donne, né la marginalità a cui ci costringono. Allo stesso modo, affermare che la differenza fra le razze è stata inventata dai razzisti, nulla toglie alla disuguaglianza che sussiste fra gruppi umani, individuati sulla base di tali fittizie categorie, né alla legittimità delle organizzazioni antirazziste.
Già nel 1997 si è visto a cosa poteva servire un’associazione indipendente: in occasione del dibattito sulle tecniche di riproduzione assistita (TRA) di fronte all’arroganza cattolica sull’unico modello di famiglia idoneo a ospitare figli, l’Arcilesbica prese l’iniziativa di lanciare i kit per l’autoinseminazione, gettando nello sconforto i poveri uomini di Dio: nessuno può impedirci essere madri se lo vogliamo, non potete venire fra le lenzuola a dettare il vostro catechismo, la vostra legge è patetica. Fu uno scandalo, mi pare il primo provocato dalle lesbiche italiane. Non avremmo potuto farlo senza Arcilesbica e in tanti momenti, anche nel corso del tormentato World Pride 2000, abbiamo pensato che senza una nostra associazione sarebbe stato impossibile dire qualcosa di lesbico. Certo non vogliamo costruirci una piccola patria, il “solo donne” non tende a costruire un’isola felice ma serve a portare i nostri bisogni in primo piano.
Quali diritti
Nel primo anno di vita di Arcilesbica, si è verificata una polemica interna all’associazione a proposito della rivendicazione delle unioni civili: c’era chi voleva eliminare tale obiettivo per sostenere solo quello dei diritti individuali e chi invece voleva mantenerlo. Ci sono state lacerazioni perché le avversarie delle unioni civili affermavano che stavamo ripercorrendo gli errori dei gay, che avevamo dimenticato la lezione femminista di critica alla famiglia, che proponevamo un modello perbenista e omologato di lesbica. Un dibattito faticoso ha partorito la riconferma dell’obiettivo. E’ un errore contrapporre il diritto di una persona a non essere discriminata al diritto della stessa persona a vedere rispettate le sue scelte di coppia, cioè garantite nelle loro conseguenze materiali e simboliche. E’ giusto invece ribadire che lottiamo per entrambi questi diritti: quelli della singola persona omosessuale e quelli delle formazioni sociali omosessuali. Ciò non significa che proponiamo la coppia stabile come modello, né tantomeno come destinataria di privilegi sociali. Allo stesso modo, chi chiede una legge che consenta il divorzio non lo fa per divorziare necessariamente in prima persona, né perché propone il divorzio come modello, ma perché potrebbe volersene avvalere e perché difende il diritto altrui di avvalersene.
E’ stato il primo conflitto interno e per inesperienza e per paura abbiamo da più parti drammatizzato le divergenze, e avuto le prime defezioni: dovremo imparare a convivere nonostante gli orientamenti diversi perché la rissosità porta con sé la tentazione di tornare al piccolo gruppo (egogruppo), omogeneo e rassicurante.
Anche a proposito delle TRA, l’associazione non idealizza la maternità, e precisamente quella medicalmente pilotata, ma respinge la legge che, escludendoci, esprime su di noi un giudizio di indegnità. La questione TRA è all’ordine del giorno da qualche anno ma non è si arrivati all’approvazione finale di una legge, e per fortuna, dato che i testi in discussione sono tutti eterosessisti. Se dovesse darsi il riavvio di una fase di elaborazione, cercheremo essere protagoniste di una proposta articolata di rilancio con un testo di legge, redatto con la collaborazione di giuriste, da sottoporre alle parlamentari perché se ne facciano promotrici, che consenta l’accesso alle TRA alla donna maggiorenne senza altre specificazioni, se non quelle riferite alla tutela della salute da parte dei centri ospedalieri preposti. Su questo terreno abbiamo già allacciato rapporti con alcune associazioni di donne, come il Tavolo delle Donne sulla Bioetica, con le quali abbiamo stabilito relazioni molto produttive e condiviso le analisi sul moderno familismo: la Chiesa e le destre difendono la famiglia tradizionale, enfatizzata come nucleo di affetti, solidarietà, formazione delle coscienze e auspicano che il lavoro di cura venga svolto amorevolmente e gratuitamente all’interno di questa famiglia, ovviamente dalle donne allontanate dal lavoro retribuito. Noi sappiamo che la pre-condizione dell’autonomia è l’indipendenza economica, e che le lesbiche non possono prescindere dall’avere un lavoro. Il ritratto idealizzato della famiglia mirerebbe a cancellare l’evidenza degli abusi e della repressione che al contrario la caratterizzano, dalle percosse agli assassinii, dai maltrattamenti dei soggetti più deboli agli incesti, dagli stupri alla riproduzione forzata. Non è un caso che i campioni della famiglia siano gli stessi che non si rassegnano al controllo femminile sulla procreazione, e che provano orrore per la maternità indipendente dall’uomo. Su questi temi abbiamo promosso iniziative insieme a gruppi femministi come ORA! o la Marcia delle donne contro la povertà e le violenze.
Non mancano tuttavia gruppi femministi lesbofobici, come LAPIS della Libera Università delle Donne di Milano: si veda la recente pubblicazione del Manifestolibri “Incubi di pace”, nella quale Grazia Cantoni stigmatizza il lesbismo come ossessione identitaria e la madre lesbica come affetta da delirio di onnipotenza, priva di senso della propria parzialità, in definitiva egoista. Un simile intervento, in concomitanza con le polemiche sul World Pride 2000, mostra come l’autrice non tema di trovarsi in bella compagnia con i bigotti del Paese e sia completamente incapace di comprendere la posta in gioco politica sulla maternità indipendente, che è né più né meno che il controllo sul potere femminile di generare.
La caratterizzazione eterosessuale di gran parte del pensiero femminista, fa sì che non venga sfidato il ricatto patriarcale che vuole che una questione sia valida e rispettabile purché preveda un ruolo per gli uomini. Anche per questo spesso si verifica che il movimento delle lesbiche svolga oggettivamente un ruolo di supplenza del femminismo. Le lesbiche italiane possono dare nuova voce al bisogno femminile di autodeterminazione senza le limitazioni subite dal femminismo eterosessuale. Un contributo in questo senso è il Manifesto Lesbista lanciato l’8 Marzo 2000 il cui testo dice: “La Chiesa cattolica considera destabilizzante l’attivismo del movimento omosessuale perché spezza la morale unica, e noi, anziché smentire, siamo consapevoli che tradurre politicamente l’omosessualità è dirompente, in quanto annulla la pretesa universalità dei principi cattolici. Noi lesbiche non vogliamo tacere che le donne, i laici, la stessa democrazia hanno molto da rimproverare alla Chiesa cattolica. Il divieto all’uso di anticoncezionali è ostinatamente confermato, in spregio alla mortalità infantile, nelle zone non sviluppate del mondo. La condanna dell’omosessualità determina in molti gay e in molte lesbiche il disprezzo di sé, mentre costituisce una giustificazione per coloro che offendono le persone omosessuali. Il veto contro l’aborto determina molte morti fra le donne che non possono pagarsi medici preparati. Tutte le associazioni religiose devono essere libere ma senza determinare lutti, mutilazioni, né umiliazioni della persona umana. Ogni progresso del vivere associato nel segno della libertà di pensiero e di stile di vita si è affermato in Italia malgrado le opposizioni e le condanne della Chiesa. Anche in questo passaggio, nonostante il giubileo, vogliamo andare avanti a modificare la convivenza civile. Arcilesbica promuove un Manifesto Lesbista per il World Pride, aperto alle adesioni di donne e uomini che vorranno sottoscriverlo in difesa del pluralismo, della democrazia e della libertà di scelta. L’8 Luglio 2000 manifestiamo a Roma
- CONTRO la sovranità dimezzata dello Stato italiano, dovuta all’interferenza della giurisdizione ecclesiastica e PER l’abolizione del Concordato craxiano, erede dell’accordo tra fascismo e santa sede
- CONTRO l’obbligo a essere credenti e PER la legittimità intellettuale e morale dell’ateismo
- CONTRO i finanziamenti alla scuola privata, confessionale e aziendale e PER una scuola pluralista e critica
- CONTRO la gravidanza coatta e contro l’eterosessualità obbligatoria e PER l’autodeterminazione delle donne in materia di sessualità, maternità, stile di vita
- CONTRO le violenze dell’integralismo, della superstizione e dell’ignoranza e PER una società garante della libertà di esprimere le individuali convinzioni morali e culturali
- CONTRO il modello unico di famiglia e PER il riconoscimento giuridico delle unioni fra persone dello stesso sesso
- CONTRO i sessisti, gli omofobi e i razzisti e PER l’uguaglianza fra i cittadini, senza distinzione di sesso, di orientamento sessuale, di razza
- CONTRO il sacrificio di vite umane in nome dei dogmi sulla Vita e PER la difesa degli esseri viventi, per il metodo della riduzione del danno”
Autorappresentazione
Un altro campo di intervento scelto da Arcilesbica è la promozione di un sapere autonomo per proporre un’immagine positiva, anche se non ideologica, del lesbismo in luogo delle consuete caricature e deformazioni. E’ importante non essere solo fruitrici dell’industria culturale ma cominciare a sentirsi soggetti di trasformazione anche in senso culturale.
Nel movimento gay è molto sviluppato l’immaginario collettivo sulla sessualità, sulla seduzione e sull’erotico. Ho sempre pensato che ciò fosse prova di un senso collettivo e orgoglioso del desiderio omosessuale. Tuttavia quello è l’immaginario gay e non può valere per una lesbica. Abbiamo voluto mettere a tema la sessualità lesbica perché troppo poco si è detto sulla conoscenza del corpo, sul piacere e sull’intesa erotica fra donne. Nel 1998 a Milano si è tenuta una Tre Giorni sull’Erotismo e nella convocazione dicevamo: “un appuntamento contro l’autocensura, perché esplicitare la propria esperienza è parte integrante di una libertà compiuta”. E’ stata un’importante iniziativa che ha raccolto cinquecento lesbiche e che ha avviato una produzione di pensiero critico sui temi dell’anticonformismo e della sovversione di genere e della sessualità lesbica.
L’idea di essere promotrici credibili di comunicazione e cultura si è concretizzata quest’anno con l’uscita, per l’editrice Il dito e la luna, di un testo della psicologa Daniela Ciriello, di Arcilesbica Milano, intitolato Oltre il pregiudizio – Madri lesbiche e padri gay: il lavoro è nato come trascrizione del seminario tenuto dall’autrice per gli operatori di un centro di mediazione familiare del Comune di Milano, il GeA (Genitori Ancora), i quali si erano trovati in difficoltà a gestire i casi di separazione nei quali uno dei coniugi si dichiarava omosessuale, soprattutto per i problemi di comunicazione con i figli.
Anche l’attività delle Linee Lesbiche Amiche è in costante rafforzamento ed espansione ed è testimonianza tangibile dell’impegno portato avanti in questi anni dall’associazione nel campo del counseling, dell’informazione e della prevenzione. Le Linee Lesbiche di tutta Italia hanno cercato di fornire supporto ed aiuto alle lesbiche in difficoltà, tentando di realizzare azioni positive e di lavorare nell’ottica della promozione di un benessere psico-fisico totale, di promuovere ricerche in collaborazione con le Università, di elaborare progetti per la formazione del personale medico e paramedico, di produrre e far circolare materiali informativi, di organizzare corsi, laboratori e workshops.
Quale rapporto con i gay?
Hanno dovuto ricredersi coloro che temevano che Arcilesbica avrebbe disertato le manifestazioni pubbliche e le rivendicazioni concrete: siamo state presenti a tutti i Pride e a molte manifestazioni miste, per le unioni civili come per la scuola pubblica o contro la guerra alla Serbia. Va detto però che la programmata federazione di ArciGay e ArciLesbica è puramente nominale: condividiamo molti spazi e altrettanti obiettivi ma, al di là della correttezza dei rapporti ufficiali, le due associazioni fanno ciascuna vita a sé, vale a dire che non si coordinano e non scambiano, al contrario di quanto prefissato negli intenti di entrambe. Oggi dobbiamo chiederci se si tratta di bisogno di autenticità nella politica o di rischiosa unilateralità. Sicuramente puntiamo a ottenere che il mondo gay riconosca il mondo lesbico come una realtà significativa dell’omosessualità, rinunciando alla tentazione di rappresentarlo senza conoscerlo ma anche a quella di ignorarlo. La stessa raccomandazione vale per noi. La questione omosessuale si è posta prepotentemente nel dibattito ufficiale e il Pride 2000 è stata la più grande mobilitazione contro lo stato confessionale che si sia avuta in Italia nell’anno del giubileo. Abbiamo potuto constatare che chi non vuole che le persone omosessuali abbiano dei diritti ha come bersagli uomini e donne omosessuali, dunque abbiamo tutto l’interesse ad essere reciprocamente solidali, cioè leali e collaborativi benché coscienti delle differenze che passano tra noi.
Non sappiamo ancora se il Pride 2000 ci ricaccerà indietro, a causa della demonizzazione scatenata contro di noi, o se sarà servito a portare più avanti le nostre rivendicazioni attraverso la sensibilizzazione della società civile democratica che non credeva prima che ci fosse vera necessità di riconoscimento giuridico per le persone omosessuali. Sappiamo però che è necessario essere uniti e, allo stesso tempo, capaci di esprimere i differenti risvolti che l’omofobia determina sui gay e sulle lesbiche.
Crescere ancora: idee per il prossimo futuro
Vogliamo combattere le discriminazioni che le lesbiche subiscono in famiglia, a scuola, sul lavoro e essere in grado di fornire anche consulenza giuridica, in caso di necessità.
Vogliamo occuparci del mondo dell’educazione, in collaborazione con insegnanti, psicologhe, studenti al fine di agire sulla formazione delle nuove generazioni per combattere il pregiudizio e l’eterosessualità obbligatoria, e dare un sostegno concreto a chi vive il proprio lesbismo all’interno dell’istituzione educativa.
Vogliamo preoccuparci di rafforzare ed agevolare l’attività dei circoli locali, specialmente laddove le condizioni politiche, culturali e sociali sono più difficili, e negano con maggior violenza l’esistenza stessa delle lesbiche: pensiamo particolarmente alle realtà del sud del nostro paese, dove sarebbe opportuno riuscire ad organizzare un’iniziativa nazionale, che desse un segnale forte della nostra presenza.
Un’altra idea per il futuro prossimo è di costituire, come ne esistono in Inghilterra, dei centri autogestiti per l’autoinseminazione, che mettano in contatto donatori e aspiranti madri, al di fuori del controllo dello Stato.
Abbiamo compiuto un passaggio decisivo, da una visibilità individuale a una collettiva, di movimento. Oggi contiamo otto circoli, una decina di gruppi attivi e qualche migliaio di iscritte. C’è una crescente partecipazione alla vita politica dell’associazione ed è importante sottolineare quanto questa crescita sia indispensabile non solo per una questione meramente numerica, ma di condivisione del progetto, per la qualità di quel patto associativo che abbiamo stretto.
Dopo quattro anni ci sentiamo confermate nell’idea di un’organizzazione permanente delle lesbiche, e non basata su singoli progetti a termine come in passato. Perché questo tentativo riesca e duri, aspettiamo altre donne nel progetto di Arcilesbica, soprattutto quelle lesbiche che fanno attività nelle associazioni omosessuali, nei gruppi di donne e in tutte le realtà che esprimono critica dell’esistente, perché si facciano carico con noi di un lavoro quanto mai attuale, difficile, entusiasmante.
Maria Cristina Gramolini , 11.06.2000
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