Liana Borghi, 2003. “In teoria, Saffo”. Towanda! Rivista lesbica, anno IX, n. 10, (giugno-agosto 2003), pp. 26-27.
Articolo n. 4 della rubrica “In teoria”

IN TEORIA 4.
In teoria, Saffo
di Liana Borghi
Nel nuovo romanzo “storico” di Erica Jong, II salto di Saffo, frutto di una lunga e appassionata ricerca, la protagonista, presumibilmente citando Jeanette Winterson (che altrove ha molto citato Jong), annuncia, “quante storie su di me. La mia leggenda confusa con quella di Afrodite” – e poi – “Mi sono suicidata per amore di un bel marinaio? Amavo le donne o gli uomini? Ha un sesso l’amore?” – suspense a cui (non) troverete risposta in tre libri recenti sulle riscritture di Saffo nei secoli. Dietro la rivisitazione americana di Jong infatti, si apre a fisarmonica un infinito pieghevole di autrici e autori cartacei che hanno camminato sulle orme di Saffo con finalità tanto varie quanto performative.
“In quanto proto-queer”, precisa l’introduzione a Ri-leggere Saffo, “Saffo pone interrogativi sull’orientamento sessuale: rappresenta la voce recuperata di una coscienza lesbica lungamente repressa, oppure un invito a considerare metodi alternativi di categorizzare il comportamento sessuale e le emozioni umane?” La risposta mi sembra ovvia: l’una e l’altro. “‘Saffo’ non è un nome, né tanto meno una persona. È piuttosto uno spazio. Uno spazio per chiudere vuoti, unire puntini, fare qualcosa dal niente”, sostiene Margaret Reynolds che dedica a Jeanette Winterson il suo bel libro, con amore. Per Winterson, si sa, Lesbo è incunabolo e matrice dell’amore tra donne, ritorno (lacaniano) al SÉ perduto e smembrato. Saffo è mito, testo, e l’amata-amante che Winterson (si) rappresenta nel senza-tempo della passione e dell’amplesso – perché nel temp(i)o dell’Amore, dice, Afrodite uccide Cronos.
Ma cos’è un mito se non estrapolazione di simboli? E i simboli, dice la filosofa Mary Daly in Pure Lust (1984) fanno parte di ciò che indicano. Ci aprono livelli di realtà, dimensioni ed elementi della nostra anima che altrimenti restano chiusi. Simboli, icone, miti, e tropi spesso rappresentano narrative soppresse, come quella di Saffo che sopravvive a frammenti, tra gli scarti recuperati in un palinsesto dove grattando si vincono parole cancellate della nostra storia. In Una donna mi apparve (1904), di Renée Vivien, Saffo rappresenta le lesbiche ripetutamente spossessate del loro vissuto – una versione che trovo plausibile pensando alla soppressione del nostro sapere, di cui continuamente troviamo i segni, e ai profondi silenzi della nostra storia.
Come è noto, il testo di Vivien (che era convinta di essere la reincarnazione di Saffo) insieme ad altri testi di Natalie Barney, tutti “ossessivamente identificati con Saffo”, faceva parte del revival “Saffo 1900” (1902-1910), che considerava il saffismo un’esperienza totalizzante e pseudoreligiosa a cui tutto andava sacrificato, inclusi i legami con la famiglia, fondamento dello stato patriarcale. Per Barney il saffismo era un legame doppiamente innaturale, spiega Joan Dejean, perché “non si ispirava alla bellezza femminile e rifiutava le funzioni cosiddette naturali”.
Il movimento di Barney e Vivien – donne nate e cresciute in periodo vittoriano – chiudeva un periodo dove le lesbiche, che nel discorso patriarcale esistevano solo come impossibile negazione, erano state anche protette legalmente proprio dal silenzio e dalla loro assenza nel codice penale. Ricordiamo che la Regina Vittoria non credeva nell’omosessualità femminile.
Cosa vede allora la Saffo disegnata dalla giovane Regina Vittoria, ripiegata su se stessa, al tramonto (o all’alba), sopra la rupe di Leucade? Si dispera per il rifiuto di Faone, o autobiograficamente si dispera di non poter vivere padrona di sé, dei suoi versi, della sua vita? Nella versione surrealista di Claude Cahun, la scena inquadrata da Vittoria si allontana in preparazione per la finzione studiata per creare il mito bifido del finale: non è Saffo che cade nel mare, ma un pupazzo gettato dalla figlia adottiva. Creduta morta, finalmente è libera di incarnare una leggenda già pronta: la perversa, vorace assassina [p. 27] di uomini, in preferenza divoratrice di donne, la sirena Saffo. Ma non è piuttosto, chiede Cahun, la rinuncia del suo trasgressivo ruolo culturale e sociale per una presunta “naturalità” biologica che la porta a distruggere la vita altrui così come è stata distrutta la sua?
Dal pieno/vuoto di queste descrizioni al vuoto/pieno di Monique Wittig, che sotto la voce “SAPPHO” nel suo Brogliaccio per un dizionario delle amanti (1976) lascia la pagina bianca. Anch’io resto affezionata all’idea che la figura di Saffo sia una immagine performativa, uno spazio abitabile. Pensandola, come è tradizione, piccola e bruna, mediorientale, non posso condividere l’opinione di Diane Bogus che sia al centro di un mito bianco, etnocentrico e razzista. Anzi, la sento compagna di Afrekete, la cui apparizione “teafanica” nella biomitografìa di Audre Lorde, Zami, insegna a conoscere se stesse e a negoziare intrecci e passaggi di identità multiple. Non è forse questo che fa anche Wittig enumerando compagne, amanti, guerriere?
Ancora in contrasto a queste forme di identificazione profonda, e come esempio di mode e tendenze a noi più congeniali, nell’ultima edizione della rivista internet L’Astice la contemporanea icona lesbica è una persona su cui vengono proiettate ombre, ambizioni, aspirazioni, immagini. Altrove Saffo, icona del comportamento imprevisto/non previsto dal destino eteropatriarcale, viene a rappresentare l’incertezza dei confini sessuali, del genere, del desiderio, del racconto stesso – per quella trama che è stata riletta e che possiamo rileggere in tanti modi. E questo anche ci serve, nonostante abbiamo lavorato tanto per essere discriminate come lesbiche (dice Theresa alla fine di Stone Butch Blues di Leslie Feinberg).
A me piace che nei secoli Saffo sia venuta a occupare lei stessa una cartografìa complessa Etero e omo, poeta, viaggiatrice, maestra, il suo mito raccoglie desideri e possibilità: innocenza, integrità, creatività, passione, filiazione, eccellenza, apertura; e ancora, il potere (del tiaso), la celebrità, la resistenza all’eteronormatività, pluralità di rapporti, il dono della parola e la capacità di esprimere emozioni, una a-normalità positiva, la fluidità stessa del desiderio. Instabile e sfuocata nell’immagine, nitida nella precisione troncata dei versi, invocata ora come la quintessenza del da donna-a donna, ora come figurazione eteropoetica dell’amore romantico, Saffo resiste, suggerendo piuttosto di ascoltare dove va il nostro desiderio erotico di essere e di avere, verso quale complementarietà di genere, razza, età, cultura, e talvolta anche verso quale nuovo assetto politico.
E chiudo ricordando una citazione tratta da una raccolta di Muriel Rukeyser intitolata Teoria del volo (1935) dove Saffo annegata riappare contrapposta a Nicola Sacco, un immigrato anarchico italiano, finito ingiustamente sulla sedia elettrica nel 1927 insieme al suo amico Bartolomeo Vanzetti – un episodio di razzismo e persecuzione politica qui usato per convincere della necessità di resistere, visionariamente resistere.
Saffo affogata con i capelli nei flutti del mare greco
intrecciati di alghe, un’ulva le cinge
il frutto ardente delle tempie:
Non Saffo,
Sacco.
Ribellione pioniera nelle nostre vite,
guarda di molto lontano rami di delta
innumerevoli mari.
E Saffo va leggera come una foglia
sospinta dalle foreste d’autunno verso il mare
Saffo visse e mori
fedele all’amore, infedele all’amante
mezzanotte, e nel buio non un suono
dove va Saffo, sola nella notte?
Ah, l’amore ha accordato le mie labbra alla tua lira
[Sara Teasdale (1884-1933), “Saffo”, 1937]
E questa Saffo ballava sull’erba
e ballava e ballava e ballava
[Anne Sexton (1928-1974), “La danza rossa”, 1981]
Ascolta la mia canzone dal tuo letto azzurro nell’Egeo
E sorridimi, Saffo, dal profondo della tua oscurità
[Natalie Barney (1876-1962), 1902]
Prepareremo i fiori e le fiamme
[Renée Vivien (1877-1909)]
Stella bellissima morirai vergine
[Carolyn Kizer, “Dopo Saffo” (1984)]
Solo a Lesbo le donne rispettabili camminavano
liberamente nell’agorà, protette dalla legge.
[Martha Rofheart, Burning Sappho, 1975]
Ecco giunge Saffo strinando i libri di storia con lingue di fiamma.
[Jeanette Winterson, “La poetica del sesso”]
Il suo corpo è un apocrifo. E diventata un libro di favole nessuna delle quali scritta da lei.
[Jeanette Winterson, Arte e menzogne, 1994]
1. Joan Dejean, Fictions of Sappho 1546-1937 (Chicago: Chicago U.P.,
1989); Re-reading Sappho. Reception and Transmission. [Ri-leggere Saffo. Ricezione e Trasmissione] A cura di Ellen Creene (Berkeley: U. of California P., 1996; Margaret Reynolds, The Sappho Companion. (London: Chatto and Windus, 2000).
2. Una spiegazione postmodernamente cartesiana potrebbe essere, facio ergo sum: la performance crea identità.
3. Greene, xii, l’introduzione alla collana è di Thomas Habinek.
4. Reynolds, 2.
5. Dejean, in particolare 280-81, parte del capitolo “Saffo Revocata” che copre il periodo dal 1816 al 1937.
6. Come, lo racconta Susan Gubar in un famoso saggio, intitolato “Sapphistries” (1984), che possiamo aggiornare a modo nostro, con ulteriori incrostazioni geo-temporali. Per il Novecento, Gubar cita “Michael Fields”, Isadora Duncan, Edna St. Vincent Millais, Sara Teasdale, Elizabeth Robbins, Renée Vivien, Natalie Barney e Liane de Pougy, Radclyffe Hall, Isak Dinesen, Virginia Woolf, H.D., Marguerite Yourcenar, Sylvia Plath, Anne Sexton, Rita Mae Brown, May Sarton, Robin Morgan, Pat Califìa.
http://www.leswiki.it/repository/testi/2003borghi-in-teoria-saffo.pdf