Rosanna Fiocchetto e Luki Massa, 2007. “Omaggio a Yolanda Retter Vargas”, ottobre 2007
Originariamente su Fuoricampo.net, viene ripubblicato esattamente come ancora reperibile allo: https://web.archive.org/web/20071011060412/http://fuoricampo.net/yolanda_retter/index.html
Omaggio a Yolanda Retter Vargas, pioniera attivista lesbica latinoamericana, scomparsa il 18 agosto 2007
> a cura di Rosanna Fiocchetto e Luki Massa
Foto di Michael Stone |
E’ morta il 18 agosto 2007 nella sua casa di Los Angeles, non ancora sessantenne, Yolanda Retter Vargas. Animatrice del Gay & Lesbian Center di Los Angeles, ha svolto un ruolo importante nel preservare e trasmettere la storia lesbica, contribuendo allo sviluppo di archivi specifici quali quelli universitari dell’USC e dell’UCLA, di cui ha personalmente costruito la sezione “chicana”, latinoamericana. Presso la University of California ha coordinato l’istituzione della Lesbian Legacy Collection. Creò anche sul web il Lesbian History Project, che proprio in sua memoria verrà presto rilanciato e aggiornato.
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Era una personalità pungente e polemica, soprattutto rispetto all’emarginazione e alla scarsa visibilità delle lesbiche di
colore; e, positivamente consapevole di esserlo, si autodefiniva “un tafano sulla politica del corpo”. Il suo radicalismo le valse il soprannome di “Yolanda la Terribile”, ovvero “Y the T”. Ma per tante era semplicemente Yolie.
Nata a New Haven, nel Connecticut, il 4 dicembre 1947, era cresciuta a El Salvador. Suo padre, l’architetto Henry Retter, si occupava di progetti di edilizia pubblica. Sua madre, Yolanda Vargas (che le diede il suo stesso nome), era un’avventurosa donna peruviana che negli anni Quaranta pilotava aerei e veniva da una famiglia di artisti. |
Tornata a studiare nel Connecticut da adolescente, Yolanda jr. scoprì al liceo il suo lesbismo e, insieme, il razzismo.
Si trasferì in California nel 1966 per frequentare il Pitzer College a Claremont, all’epoca solo femminile. Nel 1969 la rivolta di Stonewall la indusse al “coming out”, e trascorse il decennio successivo ad organizzare il nascente movimento di liberazione delle lesbiche. Entrata in piena azione già dal 1971, partecipò alla formazione dei primi gruppi di lesbiche latino-americane, come le “Lesbianas LatinaAmericas” nel 1974; sempre in quegli anni cooperò come volontaria al suo primo importante archivio, i June Mazer Lesbian Archives a West Hollywood, agli archivi nazionali gay e lesbici dell’USC e, nel 1978, all’iniziativa delle “Los Angeles Women’s Yellow Pages”. Laureatasi in sociologia, dedicò molto tempo al volontariato come assistente carceraria presso la California Institution for Women di Corona, poi come assistente sociale per donne senzatetto a Los Angeles e in gruppo contro lo stupro. Partecipava, svolgendo un ruolo fondamentale, alla gestione di case delle donne e di servizi per la comunità lesbica e gay. Nel frattempo vendeva libri rari e lavorava come carpentiera, idraulica e come meccanica di motori aerei (attività per la quale aveva una regolare licenza) per pagarsi un ulteriore grado di istruzione: i masters in scienza bibliotecaria (1983) e lavoro sociale (1987) che prese negli anni Ottanta all’UCLA, il secondo con una tesi sullo sviluppo dell’identità lesbica latina. Inoltre ricevette dall’Università del New Mexico un altro dottorato in “American Studies”, con una tesi intitolata “Dalla parte degli Angeli: Attivismo lesbico a Los Angeles, 1970-1990”. Aderì, dedicando loro molte energie, a varie associazioni lesbiche femministe, dalla National Lesbian Feminist Organization alle Lesbians of Color (1978-83), alle Lesbianas Latinas (1980) e alle Lesbianas Unidas.
Anche quando collaborava a progetti misti, la sua priorità erano i bisogni delle lesbiche; e se questi non venivano affrontati in modo approfondito e distinto, non esitava ad abbandonare iniziative e programmi, soprattutto nei casi in cui si obliteravano le voci delle minoranze. Uno dei suoi molteplici talenti era quello di saper garantire con efficienza la sicurezza: con questo compito venne spesso coinvolta nell’organizzazione di varie grandi manifestazioni lesbiche e gay, come la marcia su Washington del 1979 o le Los Angeles Dyke Marches.
Yolanda Retter Vargas (sinistra) con Gloria Steinem (destra) |
Memorabile, inoltre, resta la sua abilità nel confezionare slogan ironici per i “buttons”, i cartelli e gli striscioni. Era una sostenitrice molto incoraggiante del “coming out” e, analizzandone il ruolo nel movimento degli anni Sessanta e Settanta, diceva: “E’ una specie di auto-nutrimento. Più venite fuori, più gente c’è nel movimento. Più gente c’è nel movimento, più vi sentite sicuri nel venir fuori”. Negli scritti di Yolanda, un apporto “etnologico” molto originale alla “herstory” lesbica è la sua dichiarata ed esplicita posizione di “investigatrice/reporter nativa”, che l’ha portata a percepire ed evidenziare “dall’interno” alcune dinamiche comunitarie insieme
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“problematiche” e “significative dal punto di vista politico e storico”: le “lesbian civil wars”, a dimensione collettiva, e la “lesbian loveland”, a dimensione personale. Presentando la sua ricerca sulla storia della comunità lesbica di Los Angeles, ne ha ricordato con emozione le origini: “Gli anni Settanta e Ottanta furono tempi eccitanti. Ci siamo dichiarate lesbiche individualmente e abbiamo esercitato i nostri muscoli politici collettivamente. Era un gran sollievo venir fuori in pubblico in compagnia di altre come noi (…) Per molte, questi decenni sono stati ciò che una veterana (Patty Harrison) chiama “i giorni d’oro del lesbismo”.
Erano tempi in cui cambiare il mondo sembrava possibile. Molte di noi riuscirono a cambiare se stesse e a mitigare l’omofobia istituzionale. Il mio studio ricorda e celebra le donne che individualmente e collettivamente hanno lavorato in pubblico per i diritti civili e per il benessere delle lesbiche quando non era molto sicuro farlo. Attraverso le interviste orali propongo un livello di informazione storicamente valida che non si trova negli scritti pubblici. Lo storie orali all’interno della comunità in questione la rivelano sezionandola e costituiscono un ponte nel distacco crescente tra accademici lesbiche e gay, e le comunità lesbiche e gay in generale. Il mio scopo è di rendere quelle donne e quei tempi parte di un ricordo visibile e polifonico. Il mio lavoro è anche un dialogo con la comunità e accolgo volentieri correzioni, aggiunte e commenti.”
Questo era il metodo di “herstory” di “Y the T”. La sua morte, avvenuta per un cancro che l’ha rapidamente stroncata, porta con sé il dolore della sua compagna da 13 anni Leslie Golden Stampler e delle tante persone che l’hanno conosciuta, apprezzata, amata nella sua instancabile e creativa “terribilità”. A tutte loro Leslie ha detto: “Lei vorrebbe essere ricordata per come ha vissuto, non per come è morta”.
Link correlati > www.chicano.ucla.edu polaris.gseis.ucla.edu www.amazon.com |
Documenti in PDF > ONE National Gay & Lesbian Archives |