Liana Borghi, 2017. “Solo un baleno: epifanie moderniste e rivelazioni quantiche (Hall, Woolf, Bellow con Grosz et al.)”. Relazione al Convegno della SIL Abitare il tempo: lo spaziotempo come tropo e figura”, Firenze 17-19 novembre 2017.
Tratto da http://www.ilgiardinodeiciliegi.firenze.it/Abitare%20il%20tempo/
Tutto in un attimo di tempo
(Barad, 70)
Forse abbiamo dimenticato del Settecento “il sublime”: risposta intensa al mondo,
indagine delle categorie usate per interpretarlo, e
“il desiderio di articolare quello
che la consapevolezza non riesce ad articolare”
(Csicery-ronay, 147)
In uno dei suoi saggi più famosi, intitolato In the Nick of Time che stento a tradurre come “all’ultimo attimo”, Elizabeth Grosz (2004: 5 e 6) discute “della durata o del divenire, delle implicazioni ontologiche per gli esseri umani della loro immersione sempre in avanti nel tempo”. Nell’introduzione scrive che se il corpo è al centro della teoria politica e della materialità organica, è opportuno ripensare i suoi rapporti con il tempo e lo spazio. “Riusciamo a pensare il tempo solo quando qualcosa scuote la nostra immersione nella continuità, quando qualcosa di estemporaneo disturba e interrompe le nostre aspettative. Lo possiamo pensare soltanto in momenti sfuggenti, attraverso rotture, tacche (nicks), tagli, occasioni di dislocazione, sebbene non contenga momenti né rotture, non abbia assenza o presenza, e funzioni solo come un continuo divenire.” Ho deciso quindi di scegliere una particolare forma del tempo che si incontra tanto spesso in prosa e poesia, un “momento di essere”. Non sarà un’indagine seria, ma una riflessione leggera sul percorso di uno sguardo che in un dato istante penetra, si disperde e raccoglie una nuova percezione di sé e di quello che Karen Barad chiamerebbe la materializzazione dello spaziotempo, o che potremmo pensare come un condensato del divenire del mondo e noi, insieme. Non ho ancora letto, come invece ci eravamo promesse, L’ordine del tempo di Carlo Rovelli, condivido però alcune cose ben note che segnano il mio percorso.
La tradizionale scansione triadica del tempo – passato-presente-futuro — viene considerata (non da tutt*) antitetica alla temporalità non dimensionale, variamente riproposta come rifiuto del tempo, come l’intemporale, l’extra-temporale, l’assoluto, l’eternità, il tempo messianico o la pluralità dei tempi di Spinoza… Ma la scansione triadica è sempre collegata al nostro recupero del tempo. Tempo che alcuni vedono diretto al divenir-essere (Darwin, Husserl) o al divenire espanso nel futuro (Nietszche); oppure che vedono come una freccia diretta al futuro (Prigogine).
Ma Walter Benjamin, per esempio, non crede nel progresso (l’angelo della storia guarda al passato e alle sue spalle si addensa la tempesta) e si concentra sullo Jetz-Zeit, la percezione del qui ed ora, trovando autenticità e verità nella contrazione istantanea del tempo. Per lui, temporale e intemporale si incrociano senza fine nel ricordo, ma c’è sempre la speranza/tentazione della redenzione del tempo: che il passato possa essere portato a compimento nel momento messianico a venire.
Per il tempo della memoria in letteratura, Proust mostra che oltre la memoria triadica, la memoria involontaria offre, per la durata di un baleno, l’apprensione della vera vita, la connessione con la vita completa, la percezione del tempo allo stato puro, che (anche soltanto) la contemplazione dell’opera d’arte nella sua imperfezione ci consente di gustare.
Altrove, nello stream of consciousness/flusso di coscienza del modernismo, troviamo le epifanie (in origine la manifestazione ai re Magi) di solito attribuite a Joyce: momenti di percezione intensa e di visione, di rivelazione improvvisa, il recupero di ricordi sommersi a cui può accompagnarsi un risveglio spirituale.
Con Virginia Woolf simili momenti di percezione illuminata sono stati chiamati “momenti di essere”, Moments of Being (1976; 1920-1936). Sono momenti eccezionali che lei definisce in vari modi: come estasi ed ebbrezza spontanea (89), scosse, intuizioni, percezione del reale che si cela dietro le apparenze (91), “feeling the purest ecstasy I can conceive” (sentire l’estasi più pura che posso concepire), una diretta comunicazione col mondo, una intuizione “del reale che si cela dietro le apparenze… un disegno dietro l’ovatta” (91). L’ex-stasis è uno stare fuori dal corpo, un immergersi pienamente nell’istante di tempo quando l’uno può diventare il molteplice – e di questo “nick of time”, di questa nostra percezione del tempospazio che ci coglie in un baleno, si potranno fare usi diversi, con diverse finalità e applicazioni, e si potranno scoprire indecidibilità temporale, coesistenza, compresenza, sincronicità…
Guarderò come questi momenti prendono forma letteraria in tre micro-narrazioni. A Orlando allo specchio di Woolf (9/10/1927-1928), il momento di percezione serve ad accorgersi che il cambiamento di sesso/genere non incide sulla soggettività. Per Stephen Gordon lo sguardo allo specchio in Il pozzo della solitudine di Radcliffe Hall (1928), è il momento in cui mette a fuoco l’odio che prova per il suo corpo dal sesso sbagliato. E in “Un neo” di Saul Bellow (rappresentato a New York nel 1965, e a Spoleto nel 1966, poi a Roma con Franca Valeri e Gianrico Tedeschi, regia di Vittorio Caprioli; trad. it. C’è speranza nel sesso? Feltrinelli 1967), un famoso fisico quantistico cerca nello sguardo, che darà a un oggetto di desiderio perduto dall’infanzia, la rivelazione del segreto dell’universo. In tutti e tre i casi, ma per motivi diversi, il momento di percezione legato allo sguardo rivela aspetti del reale se non addirittura l’assetto del mondo.