Michèle Causse, 2005. «Chi ha paura di Valérie Solanas? O il tabù dell’odio verso il dominante.» Relazione presentata al convegno Il soggetto lesbica. Sovvertire il pensiero egemone per una ri-scrittura del simbolico, Roma, 14 – 15 maggio 2005
La traduzione, di Grazia Di Canio, era stata pubblicata sul sito Fuoricampo.net non più esistente. Testo originale online: Michèle Causse, 2004, «Qui a peur de Valérie Solanas? Ou le tabou de la haine envers le dominant», in: Actes du 4e colloque International d’études lesbiennes: fureur et jubilation, 9-12 avril 2004, Espace lesbien n°4, Bagdam Espace Edition, Toulouse, 2004, pages 19-35.

Una disgrazia banale e singolare si è abbattuta su una persona singolare, Valérie Solanas. Un guaio che conosciamo bene: il divieto di ri/conoscenza di sé come soggetto. Questo diniego – o se preferite questa mis-conoscenza – è qui vissuta da un essere altamente reattivo e provocherà il testo più violento e vendicatore, il più rabbioso e visionario che sia mai stato scritto – Scum manifesto – in risposta al torto più diffuso che esista.
Chi è Valérie? Una studentessa senza risorse, una combattente senz’arte né parte che per mantenersi agli studi si prostituisce: risorsa estrema di una fanciulla molestata nella sua infanzia che vive in una società sessualizzata a morte. Quest’esperienza influenza per sempre Solanas. Non scorderà mai ciò ha appreso dalla «scopata». Ribelle, scrive; o, in ogni caso, volendo diventare scrittrice frequenta i ritrovi degli artisti di New York gli unici posti dove si suppone potesse incontrare gente sua pari capace di ascoltare la sua voce. Aveva appena scritto Up your ass dopo essersi auto-riconosciuta. Meravigliosa provocatrice, si aspettava, ahimè, di essere riconosciuta da qualcun altro dotato del capitale simbolico e finanziario, capitale quest’ultimo che lei non possiede affatto. A chi può rivolgersi negli anni 60 una ragazza squattrinata che vuole che il suo progetto creativo vada a buon fine? Ad un «Grande Artista». Solanas affida dunque il suo scritto al già celebre Andy Warhol affascinato e intrigato da quella ragazza così poco banale: «Valérie è una borsa dell’acqua calda con delle tettone» così la descrive amabilmente il (grande) artista. Una dyke nervosa come Solanas intratterrà per un periodo Warhol e i suoi amici gay. (Non vi ricorda niente?) Il Grande Artista promette e poi si dimette. E qui comincia la tragedia.
Nascita del furore
Solanas così respinta non diventa una vittima rassegnata. Animata dal più acuto risentimento e da un odio lucidissimo, redige un giornale di critica violenta, un manifesto che non ha precedenti. Questo prima di sparare al grande artista che si era giocato di lei, l’anno successivo.
– Giacché Warhol non le ha riconosciuto la capacità di essere né quella di fare.
– Dato che ha ridotto a niente la sua agency (ossia la «facoltà di essere all’origine dei fenomeni» la mia traduzione di agency.
– Poiché egli ha negato il semplice fatto della sua esistenza come possibilità o potenza
– potenza di essere – diceva Nietzsche.
– Poiché egli si è rivelato un homo simplex, solipsista[1], Valérie Solanas applicato con lui la legge del taglione. Spara a Warhol (Giugno 1968) e lo manca di poco (giudicherà «immorale» l’averlo mancato non l’averlo voluto uccidere) ma neanche per questo diventerà – secondo la legge del mondo virocratico e nel linguaggio del dominante o androlecte*[2] – una «demente». Prima di sparare al grand’uomo non aveva forse già scritto Scum – letteralmente «la feccia»? Del resto, perché la feccia? Visto che questa parola non stigmatizza i dominanti ma «sé» o più esattamente quel gruppo sociale di ribelli che sono considerati come la feccia o il rifiuto della società. Una parola vergognosa che nasconde una sigla più gloriosa e guerrigliera – essendo il significato di SCUM: society for cutting up men, «società per fare a pezzi gli uomini[3]»
Solanas ha sputato il suo manifesto l’ha vomitato in preda all’emozione più forte che c’è: il furore. Emozione primigenia, quella di tutte tranne una. O piuttosto di una tranne tutte.
La rabbia, quella che rientra nella parola coraggio (NdT: gioco di parole dato che in francese rabbia è rage e coraggio è courage la parola coraggio contiene la parola rabbia) l’ha vissuta in modo continuo e ripetuto dalla nascita. Di cosa si è nutrito quel furore che un semplice clic (il rifiuto del Grande Artista) ha tramutato in odio e in pamphlet? Si è nutrito di ciò che io chiamerei crimine. Ma quale crimine? Un crimine per il quale non trova parole. Che non può nominare. E questo crimine – come mostravo negli anni 70 in L’Encontre – lo chiamerei oggi crimine della sessuazione. La quale è, come ognuna di noi ormai sa, sescissione*, sessualizzazione*. L’identità sessuata/sessualizzata – le donne non ne hanno altra – costituisce un caso massivo di costruzione unilaterale di un’identità collettiva. Identità minoritaria. In questo modo esistono degli uomini e delle donne. E fino a quando esisterà un “essi” e un “esse”, finché esisterà il genere, non esisterà l’uguaglianza dei «sessi» – mortifero ossimoro[4]…che nasconde un albero grosso quanto una foresta: i soli esseri parlanti non societari a pieno titolo del genere umano – «un genere che io deploro» -diceva N. Barney! – sono le donne. Nella misura in cui la propria identità è stata loro accollata ufficialmente, è l’identità di una minoranza. Non perché siano minoritarie ma perché sono ritenute minori. A questa originalissima partitura annullante, a questa tristezza che noi sole vogliamo evitare, la Solanas non si rassegna.
– Poiché la relazione col suo «Altro», l’uomo (con la U maiuscola), non è stata che svalorizzazione e oggettivazione;
– Poiché il registro giuridico non può che difficilmente esercitare il suo ruolo regolatore;
– Poiché regna una conflittualità unilaterale;
è giocoforza riparare ai torti con la vendetta, proclama la Solanas. La dignità di chi – a dispetto di ogni etica appresa – ricorre alla vendetta attraverso una rivendicazione giudicata irrealistica, risiede nell’atto che mira a superare l’esperienza del disprezzo. Chi grida vendetta crea l’Evento che manca all’ego filosofico, al cogito. Solanas esercita la sola funzione che, lei crede, le sia concessa: uccide l’uomo a parole (con Scum) poi con l’azione (gli spara). Non desidera nulla di meno della Giuditta stringente la testa di Holopherne nella sua mano. Giubilante. Le altre donne non riconoscono, da vittime, il torto come tale – ed è il più grande torto che sia fatto loro: non riconoscersi vittime di un’ingiustizia atavica. Manca l’immaginazione. Manca anche l’immaginazione della mancanza. Solanas mostra come gli uomini abbiano prodotto un mondo comune endogamico[5] invisibile come tale alla maggior parte di noi (infatti succede che l’aparheid prenda una forma di promiscuità ben temperata in cui i dominanti che rivestono i ruoli di decisori lascino alle donne dei piccoli ruoli di decisore).
Caricata di un esacerbato senso del «torto» fatto a tutte le donne, Solanas ha repertoriato le cause dell’indignazione. E per ogni causa propone una ritorsione collettiva ed «estremista» – quanto basta, purtroppo, a toglierle valore invece di creare una riflessione.
Se rileggessimo Scum oggi, una quarantina d’anni da che è stato redatto, se rileggessimo questa sorta di Annunciazione fatta a Maria alla stregua della storia degli ultimi decenni, ecco che Solanas ci apparirebbe per quella che è: una visionaria intrepida, una Cassandra col tetano che conosce bene il nemico numero uno, i corsi e ricorsi dell’impostore. L’immondo mondo che ha messo in scena. Ci dice a voce alta ciò che nessuna pensa neanche a voce bassa (non c’è che da vedere il film di C. Beillat, Anatomie de l’enfer, 2003): gli uomini odiano le donne. Solanas dice degli uomini: «è devastato dall’odio, in fondo rivolto verso se stesso. L’odio gli procura un brivido sessuale». Si può? Esistono sicuramente qua e là delle lesbiche, delle femministe che correggeranno: «Alcuni uomini non tutti gli uomini». Sono le stesse che dicono: «Questa società è violenta» senza voler identificare il violento. O il segreto meglio celato della Storia androssiana[6]. Le donne non vogliono conoscerlo perché fa loro del male. E paura. Molta paura. E nel momento in cui conoscono questo segreto, sono così forti da allearsi fra di loro per fermare il male? No, le donne civilizzate sono delle «donne morte», come dice Jean-Francois Lyotard che si rivela – roba da ridere – un raffinato lettore della Solanas.
Gli agenti della distopia[7]
Solanas mostra gli effetti del Crimine, l’entità dei danni: un quadro di J. Bosch. E sappiamo l’orrore che può suscitare Bosch. Nessuno pensa di fuggire davanti al dipinto. In compenso dinanzi al pamphlet della Solanas preferiamo prorompere in esclamazioni. O ridere, per nascondere il disagio che provoca. Non mostra lei forse ciò che può cavare gli occhi? Una spaventosa distopia un luogo dove al massimo «si muore di noia» nel quale gli esseri auto-nominatisi uomini si arrogano tutti i diritti e degli esseri etero-nominati donne vivono in funzione di coloro che le dominano. Solanas odia gli uni e vorrebbe vederli morti, disprezza e compatisce le altre. L’uno e l’altro non valgono nulla. (G. Stein concludeva pressappoco nella stessa maniera in The mother of us all).
Solanas opera sin dall’inizio una tripla categorizzazione degli umani. Sembra porre l’immobilità degli esseri in un’atemporalità che pare illustrare la frase di Aristotele nella sua Metafisica: «L’essenza è ciò che fa si che un essere sia ciò che è».
1) Gli uomini sono «degli incidenti biologici»:
a) animati da bisogni e pulsioni, ossessionati dal sesso al punto di «violentare bambini e cadaveri» al fine di dimostrare che non sono passivi;
b) affascinati dalla guerra – un sistema di compensazione, un mezzo per “sguainare” massivamente;
c) ispirati dal vuoto dell’esistenza e quindi occupati a guadagnare denaro, sostituto dell’amore. Essi parassitano le donne;
d) posti sotto l’autorità di istituzioni maschili e fortemente competitive, essi sono vili, delatori, senza capacità relazionali, profanano la vita. L’uomo – «femmina mancata» – non ha che una sola ossessione: tenersi ad una prossimità massima da una donna per cannibalizzarne le qualità e spomparne le energie: «L’unico scopo di ogni uomo è di avere una fica tutta per sé» nella speranza che «toccando oro diventi oro».
Ti Grace Atkinson ha parlato di «cannibalismo metafisico». Solanas conclude:«Solo perché gli uomini sono sempre esistiti non è detto che debbano continuare a farlo. Così cometa produzione di ciechi sarebbe immorale,anche la produzione di tarati sul piano affettivo è immorale». Sembra dare ragione a Nietzsche :«Gli uomini sono la malattia della pelle della Terra». E sa essere precisa riguardo i valori uccisi dal maschio socius: l’amore, l’amicizia, la conversazione. Hanna Arendt non le avrebbe dato torto.
2) Le donne sono delle «figlie di papà»,
delle pappa molle «in cui sono stati massacrati tutti gli istinti sin dall’infanzia» che si adattano al ruolo di serve con disinvoltura e compiacenza, gentili, docili, educate, accondiscendenti, soggiogate, impaurite, angosciate, represse che vivono attaccate ai «grandi padroni». Le figlie di papà vengono abbindolate dal sesso e la cooptazione. Vivono nella paura e il desiderio di piacere,non hanno che due funzioni : procreare e riconfortare il maschio. Quanto alle butch sono delle lecca culo come le altre. Così , sia che leggiamo Solanas sia che leggiamo Foucault , Lui e Lei non sono che delle obbedienze a una legge tacitamente o esplicitamente ricondotta. La prescrizione della loro avventura è già data. La stessa nozione la si ritrova in Peter Handke. Tutto il loro cammino è una ricerca di similitudine. Devono dimostrare di essere il calco della Legge del genere. Se vogliono essere simili o conformi, se devono provarlo, è chiaro che esiste un dubbio quanto alla possibilità di essere la vera donna, o quell’uomo campione della Prescrizione sempre identico nelle sue infime variazioni. A quanto pare Lui e Lei sarebbero due insostituibili senza i quali crollerebbe la struttura. A Lui e Lei spetta il compito loro attribuito: dire che esiste una verità del genere, quand’anche ne dubitassero; e «rimetterci» per far dimenticare che la magia non è e non scaturisce dall’accoppiamento di Lui e Lei. Essi ed Esse si copiano ad infinitum, alienati dall’analogia stessa.
3) Restano «le ribelli»,
quelle di cui Wittig dirà giustamente che non sono donne: si reclutano più volentieri fra le dykes. Le qualità di questo gruppo: energia,dinamismo, coraggio,integrità,profondità,umorismo ecc.
Queste ribelli sono trepidanti, inebrianti, sanno che la felicità risiede nell’azione e non nella mera autocontemplazione. Sono delle individue che si rispettano, stabiliscono dei contatti affettivi ed intellettuali, delle relazioni libere e obiettivi comuni. Sono intelligenti, stravaganti, inventive, capaci di creare un mondo magico: dispongono del massimo di tempo libero e si rifiutano di cogestire questa «merda di ambiente». Le azioni di queste ribelli sono evidentemente quelle di certe radicali di ieri e di oggi: Lesbian Avengers, Guerrilla Girls…
Per Solanas come per le radicali, la sessualità è prima di tutto uno dei perni della dominazione. Sembra avere l’intuizione che pure lust is ontological («il puro desiderio carnale è ontologico») come annuncia Mary Daly e, proprio per questa ragione, salva soprattutto l’amore in senso filogino , piuttosto riservato a queste ribelli simili, portate per la conversazione, l’amicizia.
4) Ribelli? O esiliate nel Neutro?
Sono le ribelli che volendo prendere le distanze dagli uomini sconsiderate e dalle donne immature hanno rivendicato l’aggettivo sostantivato «neutro» per nominarsi. Così Claude Cahun, scrittrice e fotografa «surrealista» : «Neutro è il solo genere che mi conviene sempre. Se esistesse nella nostra lingua non si osserverebbe questa incertezza del mio pensiero. Sarei per davvero un’ape operaia». Ma Claude Cahun e le sue simili,quelle che come lei oggi non si rassegnano ai generi,non si immaginano ancora (come vorrei dimostrare col mio work in progress dal titolo provvisorio – La moulinette hégélienne à l’épreuve de la sapiens*) che il fatto di non essere né l’uno né l’una non si risolve nel neutro. Tale sarebbe il caso, tuttavia, se restassimo nell’economia dualista dell’androlecte*.
Il neutro che dissimula permanentemente la sottomissione di uno dei due termini esclude l’altro. La bipolarità che ha promosso uno in generico e superiore (egli) e l’una in particolare ed inferiore (ella), la stessa bipolarità in cui l’una non è che la mancanza dell’uno, la sua «parte maledetta», senza simmetria alcuna, sparisce, e grazie all’alphalecte* – matrici e quadri concettuali che non sono più androssiani – lascia spazio al pronome Ul, a quest’unità di multipli che è la sapiens. Ul è societario della specie sapiens senza distinzione di sesso. Ul non può esistere se non perché esiste un particolare, egli ed ella, l’eterna ripetizione di una catastrofe. «Le lingue sono delle scienze incolte» dice Foucault «sono tutte da rifare». E come non essere d’accordo?
Verso la soluzione finale?
Ma, tornando a Solanas, se si adotta la sua visione essenzialista (gli uomini sono ciò che sono, bisogna eliminarli – sopprimendo i corpi sopprimeremo gli effetti) le dobbiamo concedere che:
1. Degli uomini producono discorsi violenti.
2. Essi li ri/producono in un essere al mondo necessariamente strutturato per questi discorsi.
3. C’è una relazione dialettica tra i corpi discorsivi (la sua sineddoche[8], il fallo) e il discorso cha ha a punto delle categorie del reale.
4. Una volta messe a punto queste categorie, c’è un’azione di ritorno, la riproduzione dei rapporti di forza inizialmente instaurati.
5. Il discorso è esso stesso un effetto che genera effetti.
6. Gli uomini stessi si pensano all’interno di discorsi anteriori violenti e intendono se stessi come corpi fenomenali a partire da quest’origine.
7. Essi vivono nel monologos e condannano le donne a parlare e a vivere secondo questo discorso.
Cito questa visionaria ed inattesa frase della Duras colta durante un colloquio: « L’umanità è ridotta al monologo e voi credete che questo non si paghi?»
Solanas conclude così: «Etichettano la loro condizione mascolina come Condizione Umana e pongono il loro problema del nulla come pomposa crisi dell’Individuo o ancora, come direi io, natura umana!». Tuttavia nella seconda parte del suo manifesto Solanas esce dal quadro di Bosch e ci fa immaginare una costruzione sociale delle più audaci, degna di un disegno di Piranèse in cui gli uomini non sono più ciò che sono ma ciò che possono diventare, degli ausiliari di vita, nei quali l’essenza ad un tratto cede il passo all’esistenza, nella versione Solanas.
1) Il nemico può riscattarsi auto-eliminandosi o diventando alleato delle ribelli. Ha bisogno di praticare, allora, quell’autocritica così cara alle società totalitarie. L’uomo capirebbe da solo che il benessere della specie passa proprio attraverso la sua cancellazione ed un’energia interamente al servizio della vita sotto ogni sua forma. Può allora operare contro la malattia e la morte.
2)Le figlie di papà possono diventare delle ribelli. Ossia, l’identità non è fixista[9] (salvo casi disperati): un uomo dell’androlecte* può diventare un gynandre gineista* che parla secondo l’alphalecte e una donna può diventare una gyné* cioè soggetto causa ed effetto di se stessa. E se le sottomesse diventano delle radicali, gli uomini non dureranno a lungo! Il conflitto, per la Solanas, non è tanto fra gli uomini e le donne quanto fra le Scum e le sottomesse. Ossia fra le radicali e le altre .tutte le altre. E si vede che questo è ancora attuale. Le ribelli non vogliono il «mondo così com’è», «le cose così come sono»: volendo vivere subito,fanno delle proposte che meritano tutta la nostra attenzione: paralizzare la nazione rifiutandosi di lavorare, cessare di mettere al mondo bambini,automatizzare la società. L’automazione raccomandala come mezzo d’interruzione del sistema di riproduzione,di liberazione dei ventri – «Ho ucciso il ventre e lo scrivo», dice la Brossard. Fottere il sistema sopprimendo lavoro e denaro, rimpiazzarli con delle macchine,insegnare come non si è mai insegnato, lasciare che gli uomini si mutino in travestiti o transessuali, come fanno d’altronde sempre più frequentemente.
O verso la creazione di una sapiens?
L’immaginario seppure ispirato della Solanas non arriva (siamo fra il 67 e il 70) a farle ammettere che la soppressione materiale degli uomini,la soluzione finale in un capovolgimento ahimè mimetico quindi privato dell’etica – giacchè reattivo – non è così semplicemente la soluzione ma una fatale replica. Non giunge all’unica soppressione valida,quella di quel simbolico che la uccide,che ci uccide. La creazione di un simbolico che impedisca a quello del dominante di imperversare,questo è ciò a cui lei non ha potuto pensare. Il suo limite: non essere uscita dal patico10 quindi dalla mimesi.
Tocca a noi, quindi, oggi fare esistere un’alternativa all’effettiva soppressione degli uomini, cioè la soppressione del discorso fallico, del potere di nominare, legiferare: il capitale simbolico maschio durerà fino a quando riuscirà ad ottenere la fede nella sua esistenza. Tocca a noi rinviare all’insignificanza ciò che non aveva senso (del resto insensato) che per metà dell’umanità.
L’androlecte è basico, parziale. La sua giustificazione di una rappresentazione dominante sessuata (il mascolino governante) non è che l’espressione di un atto di forza.
Sono dei fatti linguistici che hanno degli effetti sociali e politici. Delle cause sociali e politiche. Conviene dunque rendere caduco, obsoleto e fraudolento il linguaggio che crea i generi, le gerarchie, la generale svalorizzazione di una metà dell’umanità insieme alla sua occultazione. Il simbolico – fossilizzato e fissato sull’Uno – per cessare di produrre quegli effetti detti naturali deve essere smosso al fine di aprire uno spazio di accoglienza: questo è il compito. Il logos fino ad ora non ha regolato il mondo, è stato il suo fallimento a farlo e lo fa ancora. Cosa vediamo infatti? Degli uomini non ancora sufficientemente colti per prendere coscienza di se stessi come potenziali sapiens e per riconoscere in sé (per i migliori fra loro) la propria aspirazione alla coordinazione (una parola che comporta la fine della subordinazione).
I più illuminati come Fichte dicono: «Rimaniamo al grado inferiore della semi-umanità o della schiavitù. Non abbiamo ancora maturato il sentimento della nostra libertà perché se così fosse dovremmo voler contemplare al di fuori di noi degli esseri liberi».
Giacché il loro linguaggio ha fatto di noi genitivi ed appendici adesso diciamo citando Ricoeur: «Bisogna che il mio corpo sia l’indice della mia libertà e che testimoni la mia esistenza come soggetto o come persona. Bisogna che l’altro raccolga e legga direttamente il marchio della mia libertà (deve essere escluso il comprenderlo come cosa senza ragione): corpo capace di un movimento libero determinato». Perché avvenga tale lettura dei corpi, è necessario (nel senso di obbligo giuridico e morale) che gli uomini parlino un’altra lingua e non la loro, che rinuncino all’androlecte e ai generi, che la loro lingua diventi loro estranea; è necessario che apprendano la lingua di un gruppo minoritario – a priori non supposta detentrice dei principi morali che gli permettano di effettuare una critica dell’ordine sociale esistente. Spetta a noi, le escluse, elaborare grazie al linguaggio un modello sociale alternativo. Vitale e vivibile. Dove la forza non rimpiazza il sapere. «La forza è ciò che fa di chiunque le sia sottomesso una cosa», ha detto giustamente Simone Weil.
II nuovo linguaggio o alphalecte non esclude una metà dell’umanità. Non nasce dall’assassinio né dalla reificazione. Non sta nella mimesi reattiva e sterile, crea e ordina la sapiens, l’unità del diverso: città e mondi immaginati saranno posti sotto il segno di un altro ordine di grandezza rispetto a quello prescelto dall’androcrazia.
Un riordino di ciò che chiamiamo reale deve lasciare affiorare ciò che era nascosto, sepolto, tuttavia insistente, indipendentemente dalla sua possibilità di manifestazione. Delle acque sotterranee vogliono riaffiorare. Per Solanas l’insorgenza si fa nella violenza, perché l’ostacolo è stato tale che l’acqua non può sgorgare che con un fracasso assordante, che alcune non hanno potuto sentire.
A noi spetta anche di dare a Valérie Solanas, detta «folle», ciò che non ha ricevuto dai suoi contemporanei e la cui mancanza la spinta al crimine; diamole la riconoscenza dovuta, nell’accezione polisemica del termine,
1. Riconosciamo la sua potente identità, la sua figura storica, nel pieno senso del termine – alla stregua di Théroigne de Méricourt e di Olympe de Gouges11…
2. Riconosciamo il suo coraggio, prendiamo la misura esatta della sua lucidità smisurata.
3. Ringraziamola, in questa riconoscenza dovuta a lei, mandata alla croce12 (traduco così un neologismo della Causse spiegato poi nella nota) , lei che ha subito lo scandalo, lei che ha fatto dono di una Vista: denunciare il re nudo.
Ufficiosamente, può darsi che Valérie Solanas sia ancora viva e noi vogliamo crederci, ma secondo la sua biografia ufficiale è morta nel 1988 a 52 anni.
Traduzione di Grazia Dicanio
NOTE NEL TESTO:
[1] Dal latino solus “solo” e ipse “stesso”. Il soggetto solipsista non considera altre realtà che se stesso.
[2] Le parole con l’asterisco appartengono al Glossario di Causse elaborato per la sua opera Contre le sexage, ed. Balland 2000.
[3] Questa traduzione del sottotitolo inglese è la più fedele a differenza di «Società per la castrazione degli uomini» che talvolta si trova.
[4] Figura retorica che consiste nell’avvicinare due o più termini apparentemente inconciliabili (es: un silenzio eloquente). La nozione stessa di uguaglianza fra i sessi essendo precisamente ed intrinsecamente inconciliabile, è dunque un perfetto – mortale, dice Causse -ossimoro
[5] Dal greco endo, “dentro”, e gamos, “matrimonio”. Che si riproduce esclusivamente all’interno della propria tribù.
[6] Dal greco andros, uomo. Vedere anche androlecte* negli estratti del Glossario.
[7] Antonimo di utopia, ciò che si oppone.
[8] Figura retorica che consiste nel considerare la materia per l’oggetto (una vela per una barca) la parte per il tutto ecc.
[9] Opposto di evoluzionista. (nde)
[10] Dal greco -pathes, da pathos, ciò che si prova. Vedere empatia, simpatia ecc…
[11] Eroine della rivoluzione francese che lottarono per i diritti delle donne. T. de Méricout fu rinchiusa in manicomio e O. de Gouges fu ghigliottinata.
[12] Excruciée: è un neologismo «che dovrebbe esistere in francese» dice l’autrice. Dall’inglese excruciated. Essere stata excruciée significa che ci si è lasciato il cuore, la pelle, le ossa. La croce è compresa nel termine.
Nota LesWiki: per completezza riporto qui sotto l’appendice all’articolo francese online allo http://michele-causse.com/docs/Qui_a_peur_de_Valerie_Solanas-MicheleCausse.pdf (Michèle Causse, Communication au 4e colloque International d’études lesbiennes : fureur et jubilation, 9-12 avril 2004. Article paru dans Espace lesbien n°4, Bagdam Espace Edition, Toulouse, 2004, pages 19-35) che contiene un estratto del Glossario che si trova in Michèle Causse, 2000. Contre le sexage*, Paris: Balland e la bibliografia citata.
Pour lire le texte précédent, il convient de se référer au Glossaire extrait de « Contre le sexage* » (Michèle Causse, Balland, Paris, 2000). Les mots ou concepts suivis d’une astérisque* renvoient à d’autres entrées de ce même Glossaire. Le Glossaire est conçu comme une arme contre, entre autres, le dictionnaire défini ainsi:
Dictionnaire: précis de tératologie idéologique. Lieu es définitions prescriptives du phallogocentrisme.
Alpha : la lettre α symbole de la néo-espèce sapiens* créé par Elians Pons pour Contre le sexage, est un signifiant hors pair posé à partir de l’analyse des fondements du langage. Alpha déboute phi* de sa prétention à l’universel, le dénonce comme faux et unidimensionnel. L’alpha est un symbole, qui – à l’inverse du phallus symbolique phi dichotomisant – fédère et inclut ; alpha est ce que gyné* ou gynandre* disent exister au nom de et pour tous les corps parlants. Alpha est un signifiant quireconnait à tous les vivants une valeur égale.
Androlecte : voir sexolecte*, langage parlé par tous les corps parlants de la planète, quelle que soit lalangue ; vient du grec andros qui signifie homme. L’androlecte, qui passe pour neutre et émanant des humains en général, véhicule en fait la pensée, les visions et visées d’un sexe dit fort (mâle) au détriment d’un autre dit faible (femelle).
Dividue : mot par définition féminin désignant celle qui a été divisée, c’est à dire appropriée, nommée et parlée. Ne lui est laissé que l’exercice contrôlé (par les nécessités du Diviseur* local) d’une fonction biologique : la procréation (voir Paola Tabet, Marilyn Waring, etc.).
Diviseur : mot par définition masculin qualifiant le dominant qui s’arroge le pouvoir de classer et hiérarchiser ses semblables en fonction d’un seul critère jugé pertinent, les organes sexuels, et le droit de faire de l’un, homme, l’Humain et de l’autre, femme, la femelle de l’Humain (voir Claire Michard, Le sexe en linguistique : sémantique ou zoologie?, L’Harmattan, Paris, 2002). [Le Diviseur est parfois appelé Sexeur par Michèle Causse].
Genre : résultat d’un acte fondateur violent [voir l’oeuvre de Nicole-Claude Mathieu] mettant en place un système social qui, accordant le primat à un sexe, divise l’espèce, établit un pouvoir dissymétrique et assure la permanence d’un système politique reposant sur l’assujettissement longtemps occulté des dividues*. Ce système a été reconnu et dénoncé comme tel par les Individues* dites féministes.
Gorgones : Individues* à l’origyne de la conception sapiens* du monde. Ayant dénoncé le point de vue unilatéral qui organise le rapport entre les êtres, elles ont soustrait leur corps aux échanges convenus par les Diviseurs* et trouvé dans leur face à face la condition nécessaire et suffisante à l’élaboration d’un symbolique sans précédent (voir Jill Johnston, Shulamith Firestone, Kate Millet, Monique Wittig, Nicole Brossard, Marilyn Frye, Sarah Hoagland, Harriet Ellenberger, Sheila Jeffreys, Louise Turcotte, Danielle Charest, Jeffner Allen, Carolyn Gage, etc.)
Gynandre : mot antonyme d’homme. Désigne dans le réel, l’animé de la sapiens* doté des chromosomes XY, et, dans le symbolique celui qui a pris conscience de l’us et partant abus commis par son semblable envers celles que les hommes appelaient femmes.
Gyné : mot antonyme de femme. Désigne les créatures parlantes causes et effets d’elles-mêmes.
Gynéiste : qui oeuvre en faveur de la disparition d’elles au profit d’uls. Uls est le pronom générique des animés de la Sapiens*. (cf. Michèle Causse, Nomen est omen, inédit)
Individue : celle qui, ayant reconnu la confiscation du symbolique par le Diviseur*, ne permet pas à la division de s’exercer sur elle et en annule les effets en faisant advenir dans et par le langage sapropre nomination et sa représentation (voir alpha*). Elle montre que ce qui est à l’origine de l’organisation signifiante est cause de son dysfonctionnement (cf. Louise Gouëffic).
Lαngage : devrait être l’inscription dans chaque langue d’une conception éthique du monde et des relations entre les êtres. Ce langage-ci exclut les genres. Il invente de nouveaux pronoms, articles, adjectifs, sans référence au sexe*.
Phi : Φ lettre et symbole représentant le phallus, est le référent par excellence qui gouverne le réseau des signifiants, induit la représentation des êtres, des choses et du monde. C’est le signifiant privilégié, au sens littéral typographique : « le plus saillant de ce qu’on peut attraper dans le réel de la copulation sexuelle » dit Lacan. Imposé comme universel, phi Φ , expression d’un fantasme mâle, organise les échanges, définit les statuts, établit les échelles de valeur. Ce symbole organise le rapport des corps à la chaîne signifiante depuis le début de l’humanité. Lacan en pose l’autorité : « Le phallus c’est la signification, c’est ce par quoi le langage signifie, il n’y a qu’une seule Bedeutung signification), c’est le phallus ». Phi instaure la prévalence d’un centre phallique autorisant les uns à s’approprier les unes, le sens, et le langage.
Philogynie : antonyme de misogynie. Ce mot fait exister ce qui n’avait pas cours sur la planète : l’amour pour les gynés* au sens sapiens* du terme. Créé par les Gorgones* pour désigner les attitudes relationnelles foncières des êtres en mode sapiens*, à savoir : reconnaissance de l’autre comme soi (cf. Mary Daly, Adrienne Rich, Diana Fuss).
Sapiens : réorganisation de l’espèce «humaine» prenant en compte la totalité des êtres parlants, quel que soit le réel du corps, sans privilégier arbitrairement un critère discriminant. La sapiens est une in/humanité instituée qui demande une conception et un traitement éthique des sujets.
Sexage : régime de servage (cf. l’oeuvre de Colette Guillaumin) sous lequel vivent certains corps parlants de la planète réduits au silence en raison de la discrimination frappant leur sexe* ; «sexe» marqué comme manque… ou excès.
Sexe : trait dit de nature, (organes génitaux externes) et prédiscursif, le sexe est le marqueur catégoriel permettant de déclarer contre nature tout ce qui est contre culture androlectale*, le « sexe » fixe et gèle une fois pour toutes l’espèce sapiens* en deux créatures, dites complémentaires ou opposées (voir The straight mind de Monique Wittig).
Sex(c)ision : opération qui consiste à muer en relative et particulière une animée douée de raison, dès lors exclue de l’universel et contrainte d’assumer l’immanence de l’espèce.
Sexolecte : est le langage sexisant* et sexualisant* que parlent tous les humains. Elaboré par le détenteur du phallus dominant, il instaure l’inégalité entre les animés de l’espèce dite humaine. Le seul sexolecte existant est l’androlecte*.
Sexualisation : expérience distinctive des dividues* en tant que telles, à savoir la soumission à l’acte sexuel dit coït, via le sentiment dit amoureux, conçu comme réponse au prétendu « instinct sexuel » défini par le Diviseur*. Pratique de domination dans tous ses effets : réification, appropriation, aliénation (voir Catharine MacKinnon).
NOTES BIBLIOGRAPHIQUES
(1) Friedrich Nietzsche, La volonté de puissance, Le Gai savoir, Folio
(2) Michèle Causse, L’encontre, Des Femmes, 1975
(3) Nathalie Clifford Barney, Eparpillements, Persona, 1982
(4) Jean-François Lyotard, Le différend, Minuit
(5) Aristote, La métaphysique, Folio
(6) Ti Grace Atkinson, Amazon Odissey, Links Books, New York, 1974 ; Odyssée d’une Amazone, Des Femmes, 1975
(7) Friedrich Nietzsche, Humain trop humain, Folio
(8) Hannah Arendt, La condition de l’homme moderne, Ontologie et politique…
(9) Peter Handke, Le Malheur indifférent, 1972
(10) Mary Daly, Gyn/ecology, Double Day, 1982
(11) Claude Cahun, Ecrits, édition établie par François Leperlier, éd. Jean-Michel Place, 2002
(12) Nicole Brossard, L’a/mèr ou le chapitre éffrité, Montréal, 1977
(13) John Gotlieb Fichte, Fondements du droit naturel selon les principes de la doctrine de la science, PUF, 1984
(14) Paul Ricoeur, Parcours de la reconnaissance, Stock, 2004
(15) Simone Weil, L’Iliade ou le poème de la Force, paru aux Cahiers du Sud, n°230-231, déc–janv 1941