Nerina Milletti, 1996. “Tribadi & socie:la sessualità femminile non conforme nei termini e nelle definizioni”. In: Rivista di Scienze Sessuologiche, 9(1-2): 19-36.
SODOMITA
Per Wayne (1) quello di sodomia sarebbe concetto alieno sia al mondo bizantino ed israelita del Medioevo che al mondo cristiano dopo Giustiniano (regnò nel 527-565), sarebbe entrato nel latino medioevale dalla fine del 1100 e come penetrazione anale fu inteso solo dopo il 1870 circa. Si indagarono anche le possibili cause, tra le più curiose ecco che “Chi nasce in nel segno dei Gemini fia di buona forma, ma piccolo di persona, arà capelli sottili, e fia sodomito, linguardo ecc.” (2)
La sodomia era un crimine contro natura che poteva essere commesso in tre modi: “ratione modi” (tra partner di sesso diverso ma in modo “innaturale”), “ratione sexus” (tra partner dello stesso sesso), e “ratione genus” (con specie animali diverse). Era quindi estesa anche a casi non citati per la distruzione delle città della pianura nella Genesi. Era dunque un termine che poteva riguardare entrambi i sessi, utilizzato per i tutti i tipi di penetrazione che non fossero il normale e “lecito” coito eterosessuale, quindi “sodomita” poteva essere tanto l’uomo che la donna, etero od omosessuale.
“Sodomia” come “atto venereo tra persone del medesimo sesso”, viene riportato in Italia per la fine del 1200 e i primi del 1300 (3) . Tutto deriva da Tommaso d’Aquino, che nella Summa Teologica, scritta nel 1267-1273, interpreta il pensiero espresso da San Paolo nella lettera ai Romani 1,26, e chiama sodomia la copula con un sesso indebito, maschio con maschio o femmina con femmina (4) . Perciò non è vero che nell’uso corrente indicasse solo l’omosessualità tra uomini come si è talvolta sostenuto.
In alcuni paesi d’Europa, come la Francia, se la sessualità tra donne includeva la penetrazione era considerata sodomia e punita col rogo. Alla fine del 1500 la francese Marie Lemarcis che aveva avuto rapporti sessuali con una donna, si salvò dall’accusa di sodomia e dal rogo, perchè le fu attribuito il sesso maschile, in quanto il suo membro, invisibile all’esterno, fu giudicato al tatto un pene (non si vedeva, ma era tale perchè emetteva un liquido, mentre il fatto che avesse le mestruazioni non contò).
Se fosse stata riconosciuta come ermafrodita la sua sorte avrebbe potuto essere quella di Suor Angelica de la Motte de Vilbert d’Apremont, che accusata nel 1661 da Suora Gabriella Damily di essere maschio e femmina nello stesso tempo, ed accertato che infatti tale “mostro” aveva gli organi di entrambi i sessi, fu condannata all’impiccagione poi tramutata in prigione a vita (5) . Prigione a vita, ma per un caso diverso, anche per Benedetta Carlini, badessa di un convento a Pescia ai primi del 1600 (6) . Sul caso Marie/Marin vedi Jacques Duval (7) (che ci ricorda che il nome vagina è tale perchè essa è la “vagina membri virilis”), e riporta due casi, uno avvenuto nel 1560 a Rennes di un ragazza di 14 anni che mentre è a letto con un’altra ragazza sviluppa dei genitali maschili, e l’altro a Parigi. Qui un’accusata di tribadismo viene messa in prigione insieme ad una donna che la provoca finchè alla presunta “tribade” non compare un membro virile. Il caso più o meno contemporaneo dell’olandese Henrika Schuria, “una donna dal contegno virile che s’era stancata del suo sesso”, si concluse invece con la condanna della donna, perchè l’organo posseduto fu giudicato una clitoride ipersviluppata (8) .
Era perciò particolarmente importante accertare se gli ermafroditi fossero “realmente” donne o uomini, e se fosse stato utilizzato qualche strumento, perché la sola “fricatione” non era condannabile (9) . Nei paesi come l’Inghilterra, dove questa legge non c’era, ci fu molta meno attenzione alle definizioni legali e mediche.
Per il reato di sodomia la penetrazione con le dita non era presa in considerazione, nè lo era l’autopenetrazione con strumenti, quella che Frigerio nel 1893 (10) chiama “pseudonania”, “tendenza a procurarsi sensazioni voluttuose mediante l’uso di stromenti e non colla ordinaria manustrupazione”, ed “omettendo di parlare di quanto si dice avvenga nei monasteri (come ci viene assicurato da una ex-suora isterica), negli educandati, ecc.” registra l’utilizzo di carta, fusi, gomitoli di filo, pani, pezzi di legno, manici di scopa, pietre e altro per l’autopenetrazione
NOTE
1 Wayne R. Dynes (ed.), 1990. Encyclopedia of Homosexuality, op. cit.
2 Antonio Cesari. Vocabolario degli Accademici della Crusca. Verona: Dionigi Ramanzini.
3 Nicolò Tommaseo e Bernardo Bellini, 1872. Dizionario della lingua italiana. Torino e Napoli: UTET.
4 Louis Crompton, 1985. “Il mito dell’impunità lesbica: leggi capitali dal 1270 al 1791”. Sodoma: rivista omosessuale di cultura, 2(2): 85-97.
5 Vedi J. Pousset de Montaban. “In difesa di Suora Angelica de la Motte”. L’Eloquenza, anno XVIII, p. 570, recensito sull’Archivio di antropologia criminale nel 1931.
6 Judith C. Brown, 1986. Immodest Acts. New York: Oxford University Press, tradotto in italiano nel 1987 come Atti impuri: vita di una monaca lesbica nell’Italia del Rinascimento. Milano: Il Saggiatore.
7 Jacques Duval, 1988 [1612]. L’ermafrodito di Rouen, op. cit.
8 Thomas Laqueur, 1990. Making Sex, op. cit., per il quale il nome della donna francese processata nel 1601 è de Marcis.
9 Prospero Farinacci, 1608. De delictis carnis, citato da Daniela Danna, 1994. Amiche, compagne, amanti, op. cit.
10 Frigerio nel 1893 (“Anomalie sessuali: autopederastia e pseudonanismo”. Archiviodi psichiatria, scienze penali ed antropologia criminale, 14: 415-422)